Tutto è iniziato il giorno in cui alla mia amica arrivò l’invito per il matrimonio dell’anno. Forse anche prima.
Mi avverte con queste precise parole “Io e te DOBBIAMO andare a prendere l’abito, DEVI esserci anche tu!”. Non un punto di domanda, solo affermazioni.
Così una domenica di giugno, alias 5 novembre visto il freddo e il grigiore celeste, partiamo. Destinazione: Outlet di Serravalle Scrivia.
Quei posti che sembrano di cartone dove tutti cercano l’ultimo sconto e si ammazzano all’ora di pranzo per un panino.
L’obbiettivo era chiaro e preciso: un abito stretto, corto perché “Ho delle belle gambe e voglio farle vedere” e coloratissimo perché “Lo voglio fucsia o giallo, insomma, bello acceso”.
Con questi criteri abbiamo fatto un primo check in gran parte dei negozi.
Entriamo, guardiamo, scrutiamo, commentiamo e usciamo.
Io sono una sorta di carro-armato, guardo, scelgo e se non scelgo esco alla velocità della luce.
“Fammi diventare una femme fatale”, con queste parole la riempio di abiti e scarpe indicandole la retta via, quella dei camerini. Sempre dribblando commesse tamarre e clienti in delirio.
“Questo?”
“Non ti rispondo nemmeno”
“Questo non mi sta male!”
“Non stai andando a un moijto party”.
“Questo?”
“Ma è troppo da tardona in Riviera”.
“Non dirmi che questo non va bene”
SILENZIO.
Si era parlato di un abito corto, un po’ da cocktail e di un bel tessuto.
“Quello è per donne che si devono mettere in affari!”
“MA…”
“TOGLILO”.
Hitleriano decido di portarla da Pinko perché il fucsia c’è e gli abiti alla Pussycat Dolls pure, quindi è perfetto.
“QUESTOOOO, ECCOLOOOO” esplodo io.
“No, no, è da battona!”
Allora mi siedo e le spiego la sottile differenza tra battona e sgualdrina.
La Battonaè cafoncella, succinta, volgare e malvestita.
La Sgualdrina invece è più raffinata, gioca con la seduzione, mostra ma nasconde e usa il congiuntivo in modo corretto.
L’abito scelto ha tutte le caratteristiche, è corto, fascia per bene il fondoschiena e le gambe, è senza spalline ed è di un fucsia accecante.
Fucsia giornalino di Barbie, un fucsia così potente che ferisce la cornea.
Un po’ come quando sei al buio subito dopo aver guardato il sole, non vedi una mazza e sbatti contro gli stipiti delle porte.
Non le piace, quindi con estrema sofferenza cardio-vascolare lo lasciamo lì e cambiamo negozio.
“Andiamo da Luisa Spagnoli?”
“Sei per caso una first lady e tuo marito deve fare il discorso alla Nazione?”
Poi in un altro negozio. Qui gli abiti hanno un verso informe, il sopra era sotto e viceversa.
“Questo?”
“Sembra da puerpera in sala parto!”
“Questo?”
“AMEN”.
“Questo?”
“Non è adatto nemmeno per portare fuori il furetto”.
Necessitiamo di una pausa e di un pranzo con patatine fritte.
È faticoso cercare l’abito giusto perché nessuno da indicazioni precise e soprattutto lei continua a guardare negozi sportivi.
“Entriamo da Puma e Replay?”
Come se a un matrimonio si potesse andare con un gonnellino da tennista o con la camicia di jeans.
“Fosse per me andrei in tuta”
“Lo so, è proprio quello che sto cercando di evitare”.
“Anzi il mio matrimonio lo voglio con gli invitati tutti in tuta e alla fine della cerimonia giochiamo a pallavolo”.
Dopo questa frase sono andato da Missoni a farmi passare l’iperventilazione.
Alla fine riesco a farla ragionare, torniamo da Pinko e illuminata trova un vestito.
“QUESTOOOOO”
“Sì ma provati anche quello fucsia”
“Quello da battona?”
“Non è da battona, fidati”.
Quel camerino si è trasformato in un tavola rotonda, a parte le due ragazze che si provavano un imbarazzante abito da zingara anni ’80, una con i calzettoni della Puma e l’altra con le ortopediche Hogan, c’era una disperata che dava i consigli sbagliati su come vestirsi a un matrimonio.
Io esausto rincaro la dose.
“FUCSIA, stai benissimo, sei bellissima e non sembra nemmeno che per tutto il resto dei tuoi giorni sei vestita di merda”.
“Ma è troppo da battona, davvero!”
Ne prova un altro, esce dal camerino e illuminata urla “QUESTO E’ QUELLO GIUSTO!”
Lungo, color ciliegia, accollato.
Tutto il contrario dell’obbiettivo che avevamo stabilito in autostrada.
“Con questo sono comodissima, mi sembra di avere la tuta”.
ARIDAJE.
Contentissima paga, la ragazza dai consigli sbagliati viene lasciata in balia di un orrendo abbinamento, le commesse quasi applaudono e l’abito da Barbie lasciato nel magazzino con grande rammarico dei presenti.
Sulla strada del ritorno si scelgono con l’immaginazione la borsa e la pettinatura.
“Sai, DOBBIAMO andare a prendere le scarpe, quelle mi mancano” mi dice tutta entusiasta.
Ho bisogno di qualche giorno per riprendermi da questa fatica erculea.
E mi chiedo, ma lo shopping è davvero un toccasana per rilassarsi?
Ho i miei feroci e puntigliosi dubbi.