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Channel: Pezzenti con il Papillon
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QUANDO IL TUO MONDO ERA UNA STANZA

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Il cabinet di Marie Antoinette.
Mi è tornata alla mente quella sensazione di felicità quando studiavi il pomeriggio ai tempi del liceo con la radio accesa e partiva la canzone del momento, quella che ti faceva dimenticare cosa fosse il pudore e la dignità.
Quella canzone che ripassavi nella testa tutto il giorno e che speravi passasse alla radio prima di andare in piscina e dopo la pausa merenda, così potevi spingere il tasto Rec e registrarla su una cassetta così consumata che il più delle volte pareva un messaggio di Satana dagli Inferi.
Mi sono sentito vecchio, molto vecchio.

All’epoca la tua vita si svolgeva nel tuo angolo di mondo, che era un confine invalicabile per gli altri e un fortino per te, una grotta, una tana, la tua stanza.
In quella stanza avrebbero potuto chiuderci dentro per giorni che saremmo stati felici perché era tutto lì quello di cui avevamo bisogno.
Perché l’adolescenza è così legata a quattro mura e perché quella porta chiusa rappresentava una salvezza e una necessità.
Anche Ariel aveva la sua grotta. 


A 12 anni condividevo la stanza con mio fratello, finché un giorno mi sono preso un castigo epico e non potevo uscire con la bicicletta insieme ai miei compagni di scuola, così ho organizzato un vero e proprio trasloco. Mi sono trasferito in taverna, in una stanza umida accanto al garage dove un divano letto sfondato e una parete vuota riempita con tutti i poster delle Spice Girls sono diventati la mia isola felice.
Le giornate passate ad appiccicare poster, scrivere sul diario, ascoltare una radio che gracchiava mi rendevano felice, avevo arredato quei 10 metri quadri come fossero la casa della mia vita, fa nulla se prima era la stanza dove stendeva mia madre e dove padroneggiava un frigorifero rumorosissimo.
Quell’anno, come sempre, la Nonna veniva da noi a Natale e dormiva proprio in quella stanza che le avevo ceduto con non poco disappunto, mi ricordo che mi disse “E’ inquietante dormire con tutte quelle facce appese alla parete” e io le ho risposto “MA NONNA SONO LE SPICE GIRLS!”.

Ogni adolescente che si rispetti scriveva cattiverie su un diario sdraiato sul pavimento della sua stanza. 

Ai tempi del liceo invece con un principio di reumatismi per l’umidità della taverna tornai alla luce della mia vecchia camera condivisa con il fratello maggiore con cui era una continua lotta alla sopravvivenza. Faceva le nottate a leggere e io dormivo alle 21, fumava e io non potevo tollerare la puzza, io ascoltavo Britney, lui i Led Zeppelin.
A un certo punto fu lui a trasferirsi in taverna e io cominciai un restyling della camera da letto che da grotta divenne un petit cabinet alla Marie Antoinette dove studiavo per terra sui cuscini, parlavo al telefono per ore, sfogliavo ogni e qualsiasi giornale e scrivevo chilometri di diario come un adolescente problematico. E non lo ero affatto.
Anche all’epoca avevo delle fisse che mi portavano alla follia, c’era il periodo in cui collezionavo cartoline e le catalogavo con una foga inimmaginabile, poi venne la mania per le carte da lettere e scrivevo anche al compagno di classico all’ultimo banco con cui scambiavo solo suggerimenti durante le versioni di latino, poi i cd, i ritagli dei giornali, tutto.

Quando invitavi gli amici e non uscivate dalla stanza per ore.
Quante volte abbiamo urlato “CHIUDI LA PORTA” agli invasori, quante volte non siamo stati di compagnia e ci chiudevamo così tante ore in quelle quattro mura che Papà non si rendeva nemmeno conto che fossimo a casa, quanti pugni al muro e quanti pianti disperati a terra perché siamo stati malamente mollati da chi in quel momento era tutto.

E quanto più era disordinata e quanto più eravamo fieri di quell’angolo di mondo in cui eravamo protagonisti di tutto, come quegli adolescenti da film alla Dawson’s Creek, peccato che io avessi le grate così non c’era pericolo che una Joey Potter della bassa padana entrasse dalla finestra senza essere invitata. 

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