In questo marasma milanese per cui la mattina quando ti svegli non hai il tempo di capire se ti chiami ancora allo stesso modo che già sei sul metrò insieme ad altre 800 persone, è difficile sopravvivere.
Agli odori della metropolitana, per l’appunto, e all’interazione con quello che la Bibbia definisce “il tuo prossimo” nonostante tu lo categorizzi sotto “Presto nel mio passato”.
Era partito tutto da “Ah ma quest’inverno! Baldoria, feste, restyling e vita pazzesca” e si è rivelato il settembre più nefasto della storia con accadimenti che nessuno si sarebbe mai aspettato.
Come la nuvola di Fantozzi si abbatte metaforicamente su di lui, la stessa cosa su di me, con più violenza.
Cambi di lavoro, improvvise scene epiche dal passato, stress a mille, chilometri e chilometri di strada tra una sede di lavoro e l’altra, di tutto un po’ e di più.
Una sera dopo essere collassato di fronte alle brutture di “Ballando con le stelle”, ipnotizzato dalle guaine contenitive e dalla concentrazione di tupè, decido che è il momento di fare notturne pazzie (?) e pedalo verso un locale con successiva tappa in discoteca.
Si balla, non si beve perché costa troppo, ci si guarda in giro (in realtà sembra la caccia alla volpe) e in particolare la coda dell’occhio cade sulla cerchia degli amici degli amici.
Un codino dell’occhio, ci si scruta un po’, qualche battuta, una sigaretta e già casca il primo complimento per l’occhio azzurro, banalotto ma pur sempre apprezzato, fino a un più concreto “Sono timido ma ti ho guardato spesso il culo”.
Ora, non è la cosa più romantica che si possa dire, è molto ruspante e non credo sia inserito nel galateo come raccomandazione, PERO’, nel XXI secolo, in una città come Milano, è quasi pura poesia. In alcuni casi è meglio di una dichiarazione d’amore.
Nel mio sicuro.
Si finisce a parlare, mentre intorno a noi gente che limonava, inventava canzoni dal titolo “Destination Capocotta” e chiamava il taxi in stile Carrie Bradshaw.
Si parla del più e del meno, si sorride e si ammicca che ce n’era per un manuale di corteggiamento, mancava solo la coda del pavone e un ululato di qualche rito d’accoppiamento.
Il flirt era visibile a tutti, addirittura una grattata sulla testa e un momento da “Non ti stacco gli occhi di dosso nemmeno se mi stanno portando via la macchina!”.
Poi qualcosa si frantuma e nell’aria, come un fulmine parte un “IN TUTTA ONESTA’, STO VEDENDO QUALCUN ALTRO”.
In quel momento se fossi stato una guerriera Sailor avrei fatto partire una combo tra il Maremoto di Nettuno e la catena dell’amore di Venere usata come cappio.
“Non essere presuntuoso, non capisco perché tu me l’abbia detto!”.
Chiusi i piumaggi, appoggiato il drink, allontanato lasciando il segno sul marciapiede per la velocità della fuga, un saluto vagamente isterico.
Il giorno dopo un messaggio conteneva le solite dicerie “Mi dispiace”, “Mi avrebbe fatto piacere” quando il condizionale è da sempre il più indigeribile dei tempi verbali, e addirittura un “Voglio vedere come va, poi magari scopro che non mi piace, se nel frattempo ti fidanzi mi mangio le mani”.
“IO NON GIOCO IN PANCHINA!”.
E un bel pollice insù.
Gesù lo chiamava “Il prossimo”, così come faccio io: NEEEEEXT.