Stagisti si nasce, si diventa e ci si mummifica. Uscire dal tunnel di stage registrati a caso, in qualità di apprendisti, schiavi liberi o domestiche referenziate è davvero difficile. Così ci si inventa la qualunque per risparmiare o semplicemente rimboccarsi le maniche perché i genitori non sono bancomat a chiamata e l’indipendenza economica è uno dei momenti più belli che si possano vivere.
Vuoi mettere la felicità di andare da Prada con la carta del Papi e poi finire da H&M kids con la tua postepay in fase di autodistruzione? UN SOGNO.
Lavoro da quando ho 19 anni in piscina e ormai la puzza di cloro, le infradito e quell’umidità da equatore sono parte di me, e alla fine stanco o no, mi congratulo con me stesso perché le giornate sono lunghe, le fermate della metro infinite e le gambe sempre rotte, ma almeno me la cavo da solo.
Ufficio+ 50 minuti di metropolitana + 2 ore di corsi di nuoto + 2 ore di fitness + 45 minuti per tornare a casa e poi la pace sotto al piumone guardando Chi l’ha Visto?
In alternativa Ufficio + 30 minuti di mezzi + merenda al volo + 7,5 chilometri in bicicletta + 2 ore di fitness + 7,5 chilometri in bicicletta, sempre per finire a vedere Chi l’ha Visto? Sotto al piumone.
Tanti mi dicono “Ma che bello che lavori in piscina” oppure “Che sexy istruttore di nuoto” perché forse hanno delle aspettative diverse dalla realtà, che non voglio distruggere, ma solo portare a regime.
L’istruttore di nuoto non sempre è quello più fisicamente predisposto alla bonaggine, infatti dopo 5 ore passate a urlare, a dire “VIAAAA”, “ALZA LE GAMBEEEEE”, “MATTEO, PIETRO, GIUSEPPE E CAMILLAAAAAA” magari non ha voglia di nuotare e rientrare nuovamente nell’acqua all’impatto gelida. Quindi forse è l’ultimo dei suoi pensieri riattivare il bicipite o irrigidire il gluteo.
Noi istruttori accogliamo sorridenti i bambini, facciamo le mamme, le baby sitter, i padri affettuosi, le badanti e anche gli psicologi. “No Gaia, non piangere che oggi non facciamo i tuffi promesso”, poi appena la famiglia si dilegua un po’ nazi “ALLORA UN TUFFO E POI FACCIAMO IL MISSILE” perché il primo insegnamento è non traumatizzare il bambino.
Abbiamo timpani perforati, costumi sempre bagnati e un pallore giallo dovuto alla combo acqua azzurra+luce al neon che ci fa sembrare in procinto di morire di epatite.
“Lorenzo stai bene?”
“Ma certo, non mi trovi in formissima?” con sorrisone, sudato fradicio dopo due ore di gambe/addominali/salti perché le sciure dell’acqua fitness non si ritrovino molli come capesante la prossima estate a Jesolo. Perché delle responsabilità in vasca, tra cui quella di combattere la loro cellulite come fosse mia.
A una certa ora del giorno diventiamo idrorepellenti, ci siamo appena asciugati, abbiamo una temperatura corporea che non si aggira più intorno ai 34 gradi, abbiamo ripetuto 10 volte “Facciamo una vasca a stile e il ritorno a dorso” e ci siamo sentiti chiedere “Maestro, ma al ritorno rana?” poi incitiamo a battere più forti le gambe ma appena una goccia d’acqua sfiora il tuo malleolo senti un brivido lungo la spina dorsale. Quello è un momento in cui rimpiangi perfino di non lavorare come impiegato delle poste a Cinisello Balsamo.
Siamo i primi ad ammalarci e gli ultimi a essere riconosciuti come importante step nella crescita di un bambino che si ricorderà di te come quello che ha tentato di affogarlo e non come un eroe che l’ha fatto smettere di avere il terrore dell’acqua.
A colpo d’occhio sappiamo identificare subito il colore delle ciabatte, delle cuffie, degli accappatoi di ognuno di loro, li aiutiamo a fare il nodo e li diamo la mano per arrivare più velocemente nello spogliatoio così non prendono freddo. Li salutiamo con la mano. Succede anche che una bambina ti sorride e ti dice “L’altra volta non c’eri, mi sei mancato” e ti porta un disegno in cui tu e lei siete felici in un mondo tutto color pastello e c’è anche un arcobaleno.
In quel momento dimentichi ogni fatica e soprattutto non fai caso al fatto che nel disegno non ti ha fatto manco i capelli ma indossi la cuffia.