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Lady D a Portofino poco prima di quel 31 agosto 1997. |
Domani saranno 20 anni da quel 31 agosto 1997, la mattina dopo ero a Vallombrosa e mentre giocavo sul piazzale di fronte all’appartamento di Nonna tra le sue ortensie e gli alberi rigogliosi una voce tuonò dall’alto, da una delle finestre del piano nobile, era la signora Grazzini che ogni estate prendeva in affitto la casa, si affacciò e disse con quella voce rauca tipica di chi fuma almeno 30 sigarette al giorno “E’ morta Lady D”.
Ero piccolo per comprendere l’enorme velo di tristezza che tutti più o meno provarono nel constatare che la principessa Diana era morta in quell’atroce incidente stradale a Parigi per scappare a tutta velocità dai paparazzi che la inseguivano in ogni sua mossa.
Tutti noi ricordiamo le immagini dell’auto, quel lenzuolo bianco tirato sulla portiera e gli ultimi fotogrammi di Diana accompagnata da Dodi Al Fayed mentre escono dal Ritz per poi salire su quella macchina che si sarebbe schiantata sotto al tunnel dell’alma.
Sono passati venti anni ma nessuno ha dimenticato quella figura patinata e gentile che tutti abbiamo continuato ad amare per il ricordo e la sua storia.
Nobile di origine e principessa per matrimonio il 29 luglio 1981 ha fatto sognare indossando un abito che ha segnato l’epoca, due enormi maniche a sbuffo, un corto caschetto biondo e uno strascico di 8 metri che l’ha accompagnata nella cattedrale di Saint Paul verso il suo destino, sposare l’erede al trono d’Inghilterra, il figlio primogenito di Elizabeth II, Carlo.
Se fosse stata una favola disegnata e animata dalla Disney ci sarebbe stato il “vissero felici e contenti” dopo quella trionfale uscita sul balcone di Buckingham Palace ma dietro quei sorrisi vittoriosi e quella comune riverenza si nascondevano segreti, artefatte gentilezze e un senso di inadeguatezza per quella vita da principessa reale.
Carlo è sempre sembrato un burattino nelle mani della monarchia e piano piano fu evidente che non amava Diana ma la sua ex fiamma Camilla Parker Bowles (poi sposata e divenuta duchessa di Cornovaglia), i due figli William e Harry crescevano di fronte ai suddetti, vicino alla madre durante le visite ufficiali erano perfetti, per garbo e simpatia soprattutto.
E sono loro due, 15 anni William e 13 anni Harry, a seguire il feretro della madre dando al mondo l’immagine più triste di questa storia, due principi orfani di una madre capace di svecchiare la polverosa sequenza di visite diplomatiche, feste reali e inchini desueti.
Diana piaceva al mondo ma non alla sua famiglia, il suocero, il principe Filippo la chiamava “La bambinaia” e la suocera, Elizabeth II, fu molto criticata per l’atteggiamento freddo e distaccato avuto nei giorni seguenti alla morte della principessa perché i sudditi si aspettavano tatto e sensibilità dalla sovrana ma ovviamente non si conoscono e mai si conosceranno i misteriosi retroscena dei rapporti che vegliavano sulle due.
Diana aveva divorziato dal principe Carlo, aveva un nuovo compagno e girava il mondo osannata per tutto quello per cui si può osannare una donna che appartiene per rango alla più chiacchierata famiglia del mondo: stile, eleganza, bellezza e generosità.
La principessa Diana dettava le regole della moda negli anni ’90, vestiva Versace, Valentino, Chanel o Dior senza mai dare l’idea di cambiare pelle, le si addiceva un abito da gala coperto e quasi monacale così come uno strizzato tubino con inserti preziosi e vistoso spacco sulle belle gambe, non era mai volgare e nella sua semplicità quasi sbarazzina era ancora più raggiante e perfetta.
In abiti da campagna o con veletta o in costume su un panfilo Lady D sapeva indossare qualsiasi cosa perché prima ancora della firma c’era un’eleganza umile e semplice, connubi che non si comprano nemmeno nella più prestigiosa delle boutique.
Più importante del suo guardaroba però c’è l’impegno umanitario, perché è riduttivo semplificare l’immagine di Diana al solo entrare / uscire ben vestita da negozi d’alta moda in giro per il mondo, al contrario quello fu per i più attenti osservatori, un mero specchietto per le allodole.
La principessa catalizzava su di sé un autentico caos di attenzioni mediatiche tollerate solo per riuscire nel suo intento, aiutare le persone in difficoltà. Così mentre la famiglia reale si blindava come un cimelio tra palazzi e garden parties ignorando la voce comune dei sudditi che si allontanavano sempre più, Lady Diana visitava malati, bambini, popolazioni stremate dalla fame divenendo simbolo di un sostegno umanitario importantissimo mai visto primo alla corte dei Windsor.
Tony Blair la chiamò “La principessa del popolo”, i suoi figli dissero di lei “Era una madre perfetta” rimpiangendo quella veloce ultima telefonata e tutti noi ogni volta che sfogliamo una foto del piccolo George e della piccola Charlotte pensiamo che Nonna amorevole avrebbero avuto.
Lady D non è mito o leggenda ma più semplicemente una donna capace di vivere nonostante le costrizioni del suo rango, una donna che è andata oltre alle apparenze da cronaca rosa e che ha avuto troppo poco tempo per dimostrarlo.