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Channel: Pezzenti con il Papillon
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E' TUTTA COLPA DI RYAN AIR

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HAI DETTO WEEK END FUORI PORTA?
Sono sempre stato sensibile al tema del viaggio, mi è sempre piaciuto moltissimo preparare le valigie e metterci dentro tutto quello che poi avrei riportato piegato di merda al ritorno perché completamente inutile.
In montagna volevo mettere i mocassini e al mare andavo pazzo per delle scarpe che era tutt’altro che adatte all’estate. Un pazzo completo.
Cresciuto a pane e film in costume, cosa che mi ha fatto capire di essere nato nel secolo sbagliato perché io pagherei per uscire tutti i giorni con la tuba in testa e il bastone con il pomo d’avorio, mi sono appassionato alla valigieria.
Quella vera, non quelle robe da poveri come i trolley o diavolerie simili.
Quei set da viaggio che comprendevano bauli a cassettoni con le etichette dei luoghi di destinazione, che so “Cortina D’Ampezzo”, “Sainkt Moritz” o “Cannes”, perché all’epoca si viaggiava così, negli hotel che contavano, e non c’erano plastichette orrende di colori impresentabili con scritto “Eurolines Cinisello Balsamo” o valigie arrotolate di scotch perché sicuramente ai ladri nelle stive degli aerei fanno gola quei 4 vestiti dell’Oviesse che ti porti a Sharm El Sheik.

Un tempo si viaggiava appesantiti ma felici di avere con sé l’intero cambio degli armadi, si spedivano tonnellate di bauli e nessuno fiatava. Non c’era la preoccupazione di quell’abominio chiamato “Bagaglio a mano” che viola il diritto dell’uomo di essere vestito diverso ogni giorno dal calzino al cappotto.
Perché io se vado a Londra devo scegliere tra il Montgomery, il Loden e la giacca Tartan? Chi sei tu per farmi scegliere cosa POSSO o NON POSSO portare perché non entra in quella valigia?
E’ come far scegliere a una madre quale figlio dare in pasto ai cani per salvare gli altri.
In particolare ho sempre avuto la fissazione per un dettaglio del set da viaggio, la cappelliera.

Quella cosa di una scomodità unica e di una bellezza rara, che ingombra, pesa, e per aprirla serve un Mc Giver della situazione MA è così scenografica.
Volete mettere arrivare in una albergo di Parigi, salire su un treno o scendere dalla scaletta dell’aereo con la cappelliera in mano e un facchino in livrea dietro che suda con tutti i tuoi bauli cifrati Louis Vuitton.
E per cifrati intendo le iniziali puntate del nome e del cognome, come L.B. o M.V.B.M.P. se ti chiami Maria Vittoria Bises di Montalto Pucci, la mia non ancora fecondata figlia.
Le iniziali, non i soprannomi o i nomignoli, che quando vedo “ARY” o “FRA” sulle borse cominciano a rotearmi gli occhi e ho crisi cardio-vascolari che mi porteranno presto alla tomba.
La cappelliera è fondamentale perché sì potrei partire con il cappello in testa ma se sono nato con il papillon e non indosso lo stesso cappello per due giorni di fila nemmeno se mi impiccate sulla pubblica piazza, allora dove li metto i miei 4 Borsalino?
Nella cappelliera, unica soluzione.

Quando facevo Milano-Strasburgo con il pullman degli zingari che ci metteva 9 ore, io sulle ginocchia tenevo la cappelliera e l’abbracciavo come fosse il pacco della conserva spedito da qualche brava mamma del sud, il mio tesssoro.
Ora invece ci sono brutti trolley che non si chiudono, di colori indefinibili e che sul pavè milanese fanno più rumore del tram che si schianta contro il Suv parcheggiato in doppia fila.
E’ tutta colpa di Ryan Air che ha sostituito l’accondiscendente facchino in livrea che si caricava i bauli con l’hostess spettinata e dalle caviglie grosse che striglia “Deve stare tutto in un bagaglio e deve scivolare perfettamente dentro l’apposito cestello”.

Così ecco le scene di panico con gente che cosparge il trolley di lubrificante e che indossa 4 cappotti e tacco 15 in volo.
In quel caso la cappelliera serve anche per menare le assistenti di volo che non avranno la forza nemmeno di venderti l’ultimo profumo di Calvin Klein durante il volo.

 

 

 


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