Quantcast
Channel: Pezzenti con il Papillon
Viewing all 188 articles
Browse latest View live

ECCO PERCHE' MI MANCANO LE SPICE GIRLS

$
0
0

NOSTALGIA NOSTALGIA CANAGLIA
Sono giorni che una voce interna e numerosi pensieri a riguardo mi suggeriscono di scrivere un post sul mio primo amore, quello vero, quello che non si scorda mai, che riempiva le pagine del tuo diario, le pareti della tua stanza, le tue orecchie, il cuore e la mente.
LE SPICE GIRLS. Non ho mai provato nulla di simile per nessun altro, non sono più riuscito a dimenticarle o a tradirle con altri amori successivi, rivelatosi poi sempre deboli e frivoli, e anche quando pensavo di aver superato la distanza poi bastava una nota e tornavo con gli occhi a cuori come allora.
Le ho anche sognate in un nuovo video, bellissime in costume intero, cuffia e occhialini mentre cantavano a bordo piscina. È un segno divino, il mio cervello ancora non è riuscito a metabolizzare l’abbandono improvviso di Geri, il cambiamento dei loro look e le primavere che avanzano anche per quelle cinque inglesi che hanno fatto la storia della musica e hanno contribuito alla mia infanzia, adolescenza e mettiamoci pure dentro la maturità perché io le ascolto tutti i giorni.

Prendete cinque sceme di Londra e sobborghi, date loro una caratteristica specifica, vestitini striminziti ed effettivamente brutti, zeppe multicolor e fate cantar loro canzoncine da ragazzine e amici gay e avrete il mix esplosivo che ha dato vita alle Spice Girls.
Nessuna aveva grandi doti canore ma erano divertenti, allegre, cretine oltre misura e bastava un loro rutto e tutto diventa moda. Dalla Pepsi ai lecca lecca frizzantini, alla Polaroid lilla, alle magliette, ai libri con le loro foto. Io collezionavo la qualsiasi, stampavo fotografie a colori scaricate su Internet (ogni Spice aveva una sua cartella dedicata sul Desktop) con mio padre che bestemmiava in bulgaro perché finivo il toner della stampante, me lo requisiva e io stampavo in bianco e nero che tanto conoscevo a memoria i colori dei capelli di Geri o quello delle unghie di Victoria.

Emma era la mia preferita perché bionda, perché faceva la bambina cretina e invece stava sempre con le tette al vento come la più lolita di tutte, poi crescendo ho capito il disagio che avrà provato a doversi fare i codini anche a 30 anni suonati. Geri era la mia seconda preferita, non c’è da spiegare nemmeno il motivo, strizzata nell’abitino bandiera inglese era la visione celestiale dell’anno e si è guadagnata la stima di tutte le pizzettare del mondo. Poi con le meches bionde ha lanciato una delle mode più zarre mai apparse nella storia. Terzo posto per Victoria, colei che si sentiva Posh, che nei concerti non si muoveva per i tacchi a spillo altissimo, steccava tutte le note e faceva quel gesto con l’indice e il pollice che mi mandava in estasi tanto quanto mi innervosiva. Poi Mel B, che ha attirato la mia attenzione giusto ogni tanto quando tra un ghepardo e un leopardo sembrava un divano e poi Mel C.
Silenzio. Mel C è la regina delle ultime, le ultime della classe, le ultime cesse della classe, le ultime che i tuoi compagni di classe si farebbero dietro la lavagna, le ultime che vanno al red carpet del festival di Cannes con la tuta dell’Adidas in acrilico.

LA TUTA DELL’ADIDAS E IL TOP CHE USI PER LA LEZIONE DI ZUMBA?

Poi ci si chiedeva perché solo le tue amiche lesbiche in erba si immedesimassero in lei mentre tutte le altre si appiccavano fuochi a vicenda per avere il ruolo di Geri e Victoria. Bastava poi che una avesse vagamente le caratteristiche di una delle Spice come capelli pel di carota o capelli ricci per avere il posto fisso.
Quanto mi mancano, mi manca avere le palpitazioni per un loro video, ingozzarmi di Chupa Chupa per trovare la figurina e il tatuaggio lavabile e vedere la faccia di mia madre che sperava in un figlio migliore quando le chiedevo “MAMMA TI PREGO COMPRAMI IL CIOE’ CI SONO LE SPICE” e mio padre che davanti alla registrazione del loro concerto a Istanbul mi disse:

“Sono un po’ mignotte”.
Mi ha traumatizzato a vita ma il mio amore è talmente forte, vero e duraturo che nulla può fermarmi. E so anche che mi innamorerò solo di chi saprà riconoscere l’altissima citazione “NON RIESCO A CORRERE CON QUESTI TACCHI”.

PEZZENTI CON LA TECNOLOGIA

$
0
0


ZENFONE 2 LA VENDETTA.
Il fatto che il mio blog si chiami “Pezzenti con il Papillon” e non “Nerd con il Papillon” o “Pazzeschi tecnologici con il Papillon” la dice lunga sull’uso dei miei strumenti tecnologici. 

Fosse per me gireremmo ancora film in bianco e nero, parleremmo al telefono arrotolando le dita sul filo durante le sessioni di “Mi ami? E quanto mi ami?” e la fotocamera per i selfie sarebbe un’invenzione degna delle più evolute navicelle spaziali.

E nella storia dei miei cellulari ci sono stati sempre esemplari di strani arnesi, a cominciare dal Nokia 3210 (nemmeno il 3310 che era all’epoca uno status symbol) di un amico di mio fratello che me l’ha venduto a 5 euro (LO GIURO RAGA) e che funzionava meglio se lo si utilizzava a testa in giù.
Poi sono passato ad altri due esemplari Nokia, caduti ovunque e addirittura persi nei boschi, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’ultimo impronunciabile Huawei che una mattina ha mancato la tasca del cappotto sfregiandosi sul marciapiede.

Ora invece eccomi felice allegro e spensierato con il nuovo Zenfone 2 di Asus che è davvero un telefono da intenditori di telefoni. UN SIGNOR TELEFONO. UN MAGO DEI TELEFONI.
Visto che la prima impressione è quella che conta è giusto dire che appena l’ho scartato ho calcolato le dimensioni, perché si sa, appena hai in mano un nuovo telefono subito pensi al tuo, diventato ora “vecchio” e ti senti di tradirlo, di trattarlo male. Con le due mani a bilancia senti qual è il più pesante e uno sopra l’altro valuti la tascabilità.

Ecco, lo zenfone 2 non è propriamente tascabile, 5,5 pollici, è un po’ più grande di una Moleskine ma in fondo gli ultimi telefoni in circolazione hanno un ampio schermo perché così i selfie in stile notte degli Oscar con tutti i tuoi best friends vengono al meglio e nessuno si sente escluso.
Poi sul treno puoi vedere il video di Britney Spears e imparare la coreografia da mostrare fiero in salotto durante una riunione di famiglia.

È un bel telefono, ha un design sobrio e di impatto, rifiniture grigie in metallo spazzolato, per uno spessore di 4 millimetri. Ci sono pure dei tastini e con quello del volume puoi anche scattarti in un selfie, come per magia. Lo sfoderi dalla tasca dei jeans e fai un figurone con i tuoi amici che ti guardano increduli. Per la prima volta IO, LORENZO BISES, ho qualcosa di più figo di loro.

In confronto al mio telefono i loro vanno a carbonella.
A PIZZETTARIIIIIIIIIiiiiiiIIIIIIII.

PEZZENTI CHE SI FINGONO INSIDERS AL SALONE DEL MOBILE

$
0
0

Si vedono i Leggins?
Quando si apre il Salone del mobile ci sono due reazioni. La prima “Oh mio dio che bello, non faccio la spesa che tanto mi intrufolo a qualsiasi cocktail, aperitivo, presentazione di sedie, tavolini e librerie di cui ce ne frega nulla ma tanto faremo “Tutto bello, bellissimo” e intanto mi ingozzo come un forsennato.

La seconda, più snob e più falsa, è quella di rintanarsi in casa un po’ orso, un po’ controcorrente, senza curiosare qua e là per Milano nonostante la quantità immane di cose da vedere, ammirare, respirare e magnare.
Milano è una fucina di tutto, ormai il Salone del Mobile non è più un incontro formale tra designers e ricchi annoiati che cambiano le sedie Cassina del salotto ogni anno perché “Quest’anno va il cobalto, tutto cobalto olè”, al contrario si celebrano angoli di Milano magici alla portata di tutti. Ovvio che gli inviti sono selezionati, i presenzialismi sempre all’agguato, ma basta girare per le strade per capire che è tutta una festa.

Senza criticare a priori, uno sguardo diamolo e chissà che apprezzeremo un palazzo, un giardino, un cortile o un’antica fonderia, posti che come spesso accade sono dietro i nostri occhi ma non abbiamo il tempo e l’occasione di soffermarci e ammirarli.
Così un lunedì sera di primavera mi sono addentrato nel frizzante mondo della Design week, infilato una giacca di velluto verde anni ’70 del Papi, in un paio di jeans, praticamente dei leggins, e insieme a dei twitteri ormai diventati AMICONI DEL CUORE abbiamo fatti comparsate a due eventi molto divertenti.

Sedie roteanti di Cassina. TROPPO DESIGN.
Alla presentazione del nuovo Zenfone 2 di Asus c’erano installazioni di acqua a cascata e una galleria extrasensoriale che quasi mi sentivo Ariel nel suo nascondiglio magico “Come si dice, BRUCIAAAAA”, e dopo due spritz e un cinque pezzi di cheesecake sono riuscito incredibilmente a fare delle bellissime fotografie. Non chiedetemi come, complimentatevi solo con lo Zenfone.
Dopo una giornata di lavoro l’ansia di dover uscire e il pensiero “E se ho il telefono scarico che faccio, come vivo, come consulto Google Maps senza perdermi svariate volte?” è un classico nell’era in cui tutto si fa con lo smart phone tranne la cena e il sesso.

Acqua a catinelle all'evento #Zensation
Beh, io posso dirlo che lo Zenfone 2 è davvero unico nel suo genere. La batteria dura una giornata, così tanto che puoi continuare il tuo stalking quotidiano, aggiornare ogni cinque minuti la foto di Whatsapp nella speranza che qualcuno si accorga di te, consultare gli screenshot per inviarli ai tuoi soldati reclutati e cercare informazioni compromettenti su flirt ed ex amanti.

#La batteria 3000mAh garantisce 28 ore di conversazione (Avete idea di quanto stalking?) e 13 giorni di standby qualora voleste ritirarvi in rehab e collezionare notifiche. Inoltre in 39 minuti ricarica il 60% della batteria, giusto il tempo di un Mc Chicken in totale tranquillità sgomitando per quell’unica presa che non vorrai più abbandonare.
Lo Zenfone non ha mollato la sua presa nemmeno all’evento HMconsious dove tra centrifughe e rapanelli l’arte del riciclo era il tema dominante della serata insieme al gioco “Chi si è fatto chi”. “Dai ragazzi un selfie come alla notte degli Oscar” perché un po’ ci si sente sempre Meryl Streep, salvo poi scolarsi svariati bicchieri di prosecchi e desiderare ardentemente quelle polpette (Canapa?) che finiscono alla velocità della luce.

4 PIZZETTARI.
Al decimo selfie di gruppo come alla pizzata di fine anno sussurro un “CHE FATICA ESSERE CELEBRI” tra il brillo e il felice. Felice perché la cosa più bella di questi giorni è avere un gruppo di amici con cui cantare a squarciagola “BATTE FORTE INESORABILE” aspettando la 90 in viale Zara, come i veri povery.

SELFIE CHE FATICA

$
0
0

TROPPO INSTAGRAM.
Se è vero che il mondo è bello perché è vario lo possiamo dire noi che passiamo gran parte dei nostri viaggi in metropolitana sfogliando Instagram. La concentrazione di brutte scarpe, muscoli all’aria e imbarazzanti bocche a culo di gallina, fa di questo mondo virtuale un vero calderone di casi, umani e non. Perché a vedere alcuni profili le reazioni sono due:

1)      Mi chiudo in casa, seduto stretto alle ginocchia urlando “SONO GRASSO FACCIO SCHIFO”

2)     Che bella quella federa, chissà di chi è quella borsa, uh fighe le scarpe perché tutto il resto è meglio non osservarlo per la propria incolumità.

Quando i tuoi amiconi del cuore sono social quanto e più di te, tra un evento e l’altro, un pranzo tra figli di nessuno a Pasqua e un giro sugli autoscontri più cool di Milano con la musica tunza, è un attimo che spunta il braccio di qualcuno e si urla “SELFIEEEEE”.

È bene che nel gruppo ci sia sempre un amico con il braccio ormai più lungo del classico homo sapiens, con avambracci estendibili e che conosce la giusta inclinazione per far rientrare nell’inquadratura teste, capelli, occhi da cerbiatto, giacche all’ultima moda e sorrisi bianchissimi.
Io e SARINSKI/MARISSA COOPER
 
Senza di lui il panico da selfie con crampi e tendiniti è assicurato. Poi c’è l’adorabile amica figa, quella che ha il diritto impartitole direttamente da Dio di vagliare a rapporto le foto da pubblicare, senza il suo nullaosta niente e nessuno potrà avanzare il suo nome sui social pena la decapitazione e una campagna pro-defollow. Da qui la spontaneità degna di un Conclave che si nasconde dietro la pubblicazione di una foto in cui ci si diverte e sembra non ci sia una posa. E invece “No questa no” “Qui si vedono bene i capelli” “Che figa qui, dai postala e taggami” “QUESTA NO TI QUERELO”.
Poi c’è chi se ne frega, chi fa smorfie, chi parla e appena vede un flash è subito Paris Hilton, chi cerca l’obbiettivo ricordandosi di stare sempre a destra e con il viso a ¾ perché fin dai tempi dei fiamminghi si viene meglio in posa Lilli Gruber. Come faccio io.
Nei selfie di gruppo poi ognuno cerca di assumere la sua magnum prendendosi testate, inarcando tantissimo la schiena, si creano addirittura dei vuoti se due dei presenti hanno la posa giusta ma speculare, e in pochi secondi si decide il destino di un tag.
E' chiaro il messaggio?
 
Ne è la prova il selfie di gruppo con Paola Barale che carica di adrenalina e al top della sua forma, ballava “VOGLIO SOLO LIMONARE” a bordo degli autoscontri in Piazza Affari per l’evento Seletti/Sky Arte/Disaronno, indossava uno zibellino e dei jeans attillatissimi. Nella foto io al centro di tutto sfodero il mio miglior profilo e sembro più fotogenico di lei che ha sulle spalle e sugli zigomi anni e anni di televisione.
Da quando poi ho lo Zenfone 2 io passo metà della vita a fotografare tutto. Palazzi, gatti, cani, pizza, capelli (altrui), scarpe (mie), fiori e cose a caso da Tiger. La fotocamera frontale è perfetta con 13MP, quella interna con 5MP ti permette di passare le giornate a farti certi selfie che vorrai tappezzare tutto l’Internet con la didascalia “SONO SINGLE E PROPRIO NON ME LO SPIEGO”. Per non parlare delle fotografie panoramiche a 140 gradi, gli effetti per rimpolpare zigomi e piallare la pelle e la luminosità dei colori che è imbattibile.
Prima dello Zenfone io poi non avevo gli occhi azzurri, o almeno credo.
LA FOTO.

S.O.S LAVASECCO

$
0
0
TROPPA MODA TROPPA
Ci sono momenti in cui farsi prendere dall’ansia non serve a niente ma sbattere pugni al muro, lanciare cose inanimate e invocare il cielo, sì. Un sabato mattina di pioggia e umido indosso il classico impermeabile Burberry’s scendo in strada e urlo “GATTOOOOO, GATTOOOOO” senza però limonare come invece alla sempre-culo Audrey Hepburn, poi lei va da Tiffany a far colazione perché fa la ricca, mentre io mi dirigo da ormai 15 giorni al Mc Donald’s perché ho Latte e Nesquik + Brioche aggratis essendo andato senza pudore alcuno a far colazione in pigiama, come i veri poveri.
 
Essendo TROPPO MODA mi scattano una foto, mi appoggio al davanzale del balcone, rido scherzo e me la sento molto. Salvo poi accorgermi che avevo sporcato di nero tutto l’impermeabile, non so come e non so per quale maledizione ma era tutto macchiato e per un attimo ho avuto un forte desiderio di prendermi a schiaffi con la busta dei piselli surgelati. COSA SBAGLIO SEMPRE? PERCHE’ SONO SEMPRE COSì GOFFO? Due giorni prima con quell’impermeabile mi sono pure avvicinato a un clochard sulla metropolitana e ho ceduto la mia brioche al cioccolato un po’Sissi, un po’ San Francesco d’Assisi, e allora perché dal cielo così tanto astio? In cinque minuti in cui ho perso la lucidità ho quasi corso il rischio di buttarlo in lavatrice a 30 gradi, mia madre non rispondeva al cellulare e non avevo nemmeno la forza di googlare “Impermeabile di Brurberry’s lavaggio SOS”. Poi ho letto l’etichetta (mai fatto in vita mia per nessun capo al mondo) e c’era scritto “Lavaggio a secco”.
 
Infilato un cappotto, messo a caso delle scarpe brutte come la fame, scendo e ovviamente vedo passare il tram. PERSO. Ripeto dentro di me “Non ti arrabbiare, cose che possono capitare” per non creare del panico inutile e per non bestemmiare in pieno centro a Milano che non è molto elegante e il sabato mattina la città è invasa da signorotte in filo di perle e barboncino al guinzaglio. Cammino in direzione del Carrefour che pare abbia un ottimo servizio di lavanderia, entro e per poco non ho urlato “VI PREGO AIUTATEMI” sgomitando tra un’ecuadoregna con le Nachos in mano e un altro che alle 11 del mattino beveva già birra.
 
Ad accogliermi un signore a cui non avrei affidato nemmeno il mio peggior nemico, gobbo, puzzolente, con la forfora su tutta la divisa Carrefour e senza denti. Ci ha messo quei dieci minuti per capire la parola “Impermeabile” e mentre lo imbustava io lo salutavo con le lacrime agli occhi bisbigliando un soffice “Ti vengo a prendere presto, PROMESSO” come fosse un bambino mandato in collegio. Ogni giorno prego l’Ispettore Derrick, patrono degli impermeabili, e ogni volta che ne vedo uno ho quasi il magone perché mi immagino il mio torturato da delle buzzurre della lavanderia e soffro, soffro davvero. Faccio anche degli incubi in cui me lo perdono, io urlo alla denuncia e li porto tutti al Tribunale perché non si scherza sui sentimenti, quelli veri, quelli profondi, quelli dedicati alle persone più care della tua vita

KATE MIDDLETON SATANA CON LO ZAFFIRO BLU

$
0
0

Kate Satana- con la bambina di plastica e il marito cavallino.
Succede che appena ti distrai, desideri staccarti dai social e vivere un week end tra un grattino e l’ardua scelta del colore delle tue Superga nuove e tac, SUCCEDE QUALUNQUE COSA. Si inaugura l’Expo, Milano si trasforma in una fucina di cose da vedere, da fare, da ammirare e attira su di sé un’attenzione che merita e che i milanesi sanno gestire perché da sempre il nostro ego è così immane da sentirci padroni del mondo. I No Expo mettono a ferro e fuoco il centro? E noi li schifiamo. Manifestano contro l’Expo perché sono trogloditi ma poi instagrammano i padiglioni perché esserci è sempre meglio che rimanere fuori dal gruppo. E noi li perculiamo pesantemente.
Ci arrabbiamo, invochiamo una pioggia di schiaffi e poi il giorno dopo persone buone che amano Milano e non si lamentano di quei 4 minuti d’attesa della metropolitana si armano di spugne e olio di gomito per ripulire la nostra bella città all’ombra di una Madunina sorridente.
Si calmano le acque, finalmente arrivo alla conclusione che le Superga blu sono le mie preferite perché mi ricordano di quando da piccolo scorrazzavo felice e spensierato nei parchi di Roma come un piccolo Lord, e tac arriva la notizia. QUELLA NOTIZIA.

Kate Middleton ricoverata alle sei del mattino partorisce alle 8,34 sabato 2 Maggio 2015. E’ UNA FEMMINA. Quello non ci stupisce perché d’altronde come avevo scritto QUI se fosse stato maschio avremmo avvistato una culla sospetta sulle rive del Tamigi e sarebbe stato consegnato un pacco sospetto a Kensington House con dentro una bambina scelta da catalogo e comprata in Bulgaria.
A Londra impazziscono tutti. Il Tower Bridge si tinge di rosa, i cittadini escono in strada brindano e urlano “IT’S A GIRL” e io mi pento di non essere nato inglese solo per questo, solo perché sarei stato il primo a scendere sotto casa abbracciando i miei sudditi.
DIO SALVI LA REGINA IO LA AMO IO VOGLIO ESSERE LEI VIVA KATE E IL POTERE DELLO ZAFFIRO BLU DI LADY D.
E’ come se la famiglia reale inglese fosse la mia, come fossero i cugini di Roma, come fossero quei parenti ricchi che osservi e invidi nella tua vita da povero comune mortale. Fin da piccolo non ho perso notizia dei loro cambiamenti, dei loro scandali e anche se in adolescenza fingevo il cazzocene poi in realtà sapevo vita morte e miracoli dei Windsor.
Dopo 10 ore che ha partorito, quell’essere disumano che è Kate Middleton alias “Satana con lo zaffiro blu” si presenta alla stampa sull’uscio della clinica. Vestitino a fiorellini gialli, capelli perfetti che nemmeno sul red carpet degli Oscar, nemmeno se si fanno sacrifici umani sulla tomba di Aldo Coppola, anello al dito e TACCHI.
Saluta la plebaglia sorridente, la bimba dorme e sembra il Cicciobello brlu brlu che fa le bollicine e piange a comando poi quando ti sei rotta togli le pile e lo usi solo per farti i selfie, accanto Will  che ormai somiglia sempre più pericolosamente al padre.
La domanda sorge spontanea e naturale: quale donna può presentarsi in pubblico a dieci ore dal parto senza parere uno straccio di renna usato per pulire la carrozzeria della macchina? Niente camicia da notte, niente camminata dolorante, niente urla “MAI PIUUUU’”, NO, lei stoica e regale saluta tutti come per dire “E anche questa l’abbiamo portata a casa, CIAO POVERY”.
Peccato che il Royal Baby sia ancora innominata, anche se in cuor nostro è già Diana Elizabeth altrimenti spaccheremo le tazze con le loro effigi sui nostri muri appena intonacati. Il mio pensiero va alle povere Beatrice ed Eugenia di York che ora saranno mandate a fare le commesse da TopShop e anche a Carole Middleton, campionessa olimpica di piazzamento della figlia borghese a Buckingham Palace, che ora si starà sfregando le mani facendo check sul suo piano strategico per conquistare la monarchia inglese.
ECCO.

I NAUFRAGHI DELLA TROPPA-MODA-TROPPA-ARTE

$
0
0

FIDATI DI ME.
Ridere delle “disgrazie” altrui non è carino ma lo facciamo tutti i giorni, soprattutto tra noi goffi veri che ci sentiamo un po’ meno soli quando qualcuno ne combina una più grande delle nostre. Tipo Jennifer Lawrence che cade prima di ritirare la statuetta dell’Oscar, o la modella allampanata che si sente al top e casca come un ramoscello al primo soffio di vento.

Quando è stata diffusa la notizia dei naufraghi del pontile alla Fondazione Prada di Venezia sul Canal Grande, non ci volevo credere. Primo perché tutta la fatica di Miuccia Prada per sentirsi la signora TROPPA MODA TROPPA ARTE d’Italia non può essere ricompensata da una simile figura di merda, e poi perché mi immaginavo Valeria Marini che tenta di non perdere le sue open toe di cristalli e che si dispera per il trucco che cola inquinando il bio-equilibrio della laguna.
E invece pare che tra i naufraghi non ci siano VIP catalogati (e io per Vip intendo che ne so Pamela Prati, Enzo Miccio, Malgioglio, Maddalena Corvaglia e qualche nobildonna cartonata come Marina Ripa di Meana) sprofondati tra la melma del Canale.

Il pontile non ha retto il peso e una volta scesi tutti insieme dal taxi felici di andare a scroccare qualche tartina cruditè postando la foto su Instagram con l’hashtag #ciaopovery #fondazioneprada #troppamoda, puff, sono caduti in acqua come le peggiori comparse di Titanic.
Nessun morto e nessun ferito ma scorrendo le fotografie non si può smettere di ridere. E anche loro, protagonisti spiacevoli di questa figura di merda epica, ridono mentre tentano di non bagnare il giacchino di pelle rosso e mettono in salvo la signora che avrà ritirato il completo buono dalla tintoria apposta per l’occasione.

Si vocifera, che malignità, che siano scrocconi non invitati che hanno tentato di imbucarsi all’evento. E Miuccia li avrebbe accolti come meritavano “CHIUDETE IL PONTE ELEVATOIO E DATELI IN PASTO AI COCCODRILLI” urlando dalla torre del castello.
Per imbucarsi agli eventi ci vuole un po’ di stile, un po’ di charme, bisogna fischiettare, non presentarsi già colpevoli di reato ma fingere di conoscere la stilista, l’artista, fingere di essere un parente e “Ma come non sono sulla lista mi hanno mandato addirittura l’invito a casa”.
Dopo il naufragio avranno fatto il red carpet? Avranno fatto loro i complimenti per l’abito o per la borsa Prada presa in prestito dall’amica? E quei mocassini di camoscio, saranno da buttare perché puzzano di fogna?

Nel frattempo che aspettiamo le risposte io continuo a ridere e a scorrere le foto immaginando Celine Dion disperata canta “MY HEART WILL GO ON”.

IO, CUORE INDURITO

$
0
0


Sono tornato da poco d Mykonos e dopo una corsa al parco perché fa figo saltellare sudando (che schifo io nuoto proprio perché non si suda) mi piazzo sulla poltrona e il pc sul puff comprato al mercatino delle pulci a soli 5 euro mi invita a scrivere.
E cosa scrivo? Quanto mi sono divertito? Posto le foto da poser quando me la sono sentita un po’ Alessandra Ambrosio? NO, rifletto.
Perché sembro stupido e blonde ma nutro grandi sentimenti e potenti pensieri profondi che non sempre dedico a scarpe o a papillon.

Con i primi caldi gli ormoni fanno la lambada, il salto in lungo, il salto in alto, il salto delle mutande ma quando sei single e affronti la vita con una parte del tuo grande e accogliente letto sempre immacolata, è normale avere pensieri, cupi o felici che siano, a riguardo.
In tanti si fidanzano e si mollano con la velocità con cui nasce cresce e muore un social network, coppie che millantano amore eterno con striscioni e orrende rose inzuppate nel cioccolato, ma poi il silenzio e la cancellazione di tutte le foto dai rispettivi profili.
Quando sei single e ti accorgi che al mondo la parola “AMORE” è diventata di uso troppo comune e che spesso non ci si rende davvero conto di cosa si parla in realtà, ti fa rabbia tutto questo cianciare.
Ammetto di avere il cuore un po’ indurito.
E mi costa dirlo più di Nina Moric di ammettere che sì ha un po’ esagerato con il bisturi e che la situazione le è un po’ scappata di mano, zigomi, labbra, tette, contorni occhi, fronte, orecchie, cosce, culo.


Vivo da solo, non ho un lavoro ma ben due, tantissimi amici, tante paia di scarpe e praticamente nessuna occasione mondana per sfoggiare quelle più belle, forse sono anche una persona simpatica, di compagnia e che non ha mai avuto la puzza sotto al naso. E sono single.
Di quei single che si sentono dire “MA COME FAI PROPRIO TU”, di quelli che si sentono proporre “Ho una persona fatta apposta per te”.
NO, SE E’ FATTA APPOSTA PER ME LO DICO IO.
Ce la facciamo da soli, sappiamo rimboccarci le maniche, cambiare setaccio come i migliori ricercatori d’oro e lavorare di schiena per riuscire a capire chi è davvero fatto apposta per noi. Qualcuno che non dia in escandescenza se il cane spela sulla giacca, qualcuno che sappia mettere due congiuntivi di seguito senza far prendere fuoco il vocabolario più vicino, qualcuno che non si fermi alla foto di un costume e al primo brivido di mutanda.

Conoscersi, frequentarsi e fidanzarsi per carità è bellissimo, ma deve essere un’avventura divertente e semplice, facile come scegliere tra Chanel e Liu Jo, altrimenti se diventa quotidiana amministrazione o prolungamento dell’orario d’ufficio allora c’è solo una cosa da fare: prendere e scappare con le scarpe in mano.
E non è detto che tutti siano portati a stare in coppia perché c’è chi in coppia dà il peggio di sé e diventa l’alter ego dell’altro, si annienta e si fa delle paranoie così epiche  da sfiorare la patologia.
Un cuore indurito può stare bene da solo ed essere capace di vivere serenamente senza sentirsi ai margini di una società in cui tutti sono fallen in love e tappezzano muri per dirlo, ma rimanere comunque in allerta per un eventuale cambiamento di programma.
In entrambi i casi c’è uno spiraglio di felicità, basta cercare la propria.

IL ROYAL WEDDING DI GINGER SPICE

$
0
0


Il principio.

Tutto è iniziato durante un venerdì sera in cui capito a un evento con show cooking by Simone Rugiati, io che devo googlare i trucchi per non dimenticarsi le zucchine sul fuoco e che non sono in grado nemmeno di cucinare un uovo sodo senza tenere a portata di mano il numero dei Vigili del Fuoco e del kebab baro di fiducia.

Poi la mia rubrica di cucina scusate se si chiama poeticamente #cottoefachifoalcazzo.

Sfogliando Instagram come fosse un vero e proprio giornale di Gossip mi capita sotto l’occhio una foto postata da Victoria Bechham di lei e Geri Halliwell al tempo in cui andavano orgogliose del caschetto liscio e delle meches platinate su chioma rosso fuoco.


Una sviolinata in cui Vicky si dispiaceva di non essere presente in un giorno tanto felice e importante come quello per la sua GRANDE amica Geri. E poi ha taggato il profilo Instagram sbagliato.

Ma questo è solo un piccolo dettaglio, insieme al fatto che nella foto Vicky è fregna e giovane e Geri sembra un travestito sbarcato dall’Estonia dopo un viaggio di 32 ore su tacchi da spogliarellista.

VICTORIA UNA GRANDE AMICA, anche le più famose scelgono le foto fregandosene di quanto siano cesse le loro amiche, l’importante vengano bene loro e soltanto loro.

E cosa vengo a scoprire poco dopo sul profilo non ufficiale ma aggiornatissimo che pubblica tutte le foto delle Spice, anche quelle di Cannes 1997 dove Melanie C si presenta in total look tuta dell’Adidas sul red carpet,? Che miss Geri Halliwell si è sposata.

Un royal wedding vero e proprio, con tanto di saluto appassionato della Ginger Spice appena uscita dalla macchina prima di varcare la navata e prendere marito per la vita, in total white di pizzo che Kate Middleton può fare solo Chapeau.

Un bouquet sobrio, un abito davvero molto bello e un pesoforma che fa invidia a qualsiasi cantante/sciacquetta che crede di aver inventato il pop.
CIAO KATE



Non so se ce lo ricordiamo che Geri ha fatto cadere in depressione milioni di ragazzine e giovani gay che ancora non hanno superato il trauma della sua lettera d’addio alle Spice Girls, dopo quel momento hanno tentato una carriera in 4 ma non era più come una volta e l’assenza della ragazza più pepata si notava eccome.

La loro reunion nel 2007 è stato un bagliore di speranza per tutti noi, loro che si abbracciano di nuovo, che stonano come cornacchie durante gli show strizzate in abitini più sexy e alla moda, perché quelle cinque zarre inglesi con zatteroni e capelli improponibili SIAMO NOI.

Noi cresciamo con loro e loro crescono con noi.

Così apprendo la notizia che Geri si sposa come se mia madre dicesse che il sì è di mia cugina, come fosse una di casa, la vicina, la compagna del liceo, una mia carissima amica.

Subito mi ritornano in mente quelle volte in cui Geri ha vestito i panni della sposa, e come dimenticarle.

 
PIANGO.
In WHO DO YOU THINK YOU ARE, canzone che mi fa perdere completamente la dignità, il pudore e la mia reputazione viene presa a calci senza alcun controllo, Geri indossa un abito da sposa con shorts e coda vaporosa, lei in frisè e coroncina ammicca e si diverte come una matta.

VIDEO INDIMENTICABILE, non puoi definirti davvero omosessuale se non conosci così bene testo e balletto che potresti farlo anche in assenza di gravità.

E poi la seconda volta che indossò il velo fu nel video LOOK AT ME dove accompagnata dalla scritta Virgin, si faceva anche seppellire per sempre come Ginger Spice, tra le inconsolabili lacrime del sottoscritto che per mesi ha urlato disperato PERCHE’ GERI PERCHE’.

Al matrimonio c’era Emma, splendida con un fascinator e gli occhioni azzurri, lei che amica di tutte funge da collante ha ancora un forte spirito Spice dentro di lei.

Crescono, fanno le ripulite, si sposano, fanno figli, litigano, si riappacificano ma per noi e per loro rimarranno sempre le Spice Girls, cinque sgallettate che hanno fatto storia.

D’altronde FRIENDSHIP NEVER ENDS.
I MISS U.

PARANOIE DI BIBLICHE DIMENSIONI

$
0
0
Io l’animo umano proprio non lo capisco. Siamo arrivati da chissà dove, rappresentiamo l’evoluzione di animali che non fanno altro che spulciarsi tutto il giorno arrampicandosi felici su banani svettanti e inaugurano stagioni dell’amore di continuo. Eppure loro sembrano felici e noi invece ci dimeniamo tra casini mai visti e più abbiamo casini e più ci infiliamo in altri casini sempre più enormi. 
MA PERCHE’? COSA CI GUADAGNIAMO? DOVE ANDIAMO? 

In questi mesi di torpori sentimentali ho sentito ululati, lamenti, grida isteriche, macumbe e incubi notturni. Tutto questo ha solo un nome e un cognome. PARANOIE BIBLICHE. 

Perché se non ti piace nessuno ti lamenti che non ti piace nessuno, che non ti filano, che non ricevi stimoli mentali e sud-ombelicali perché ti senti grasso, indesiderato, peloso, con la pappagorgia, l’occhio storto e il pollice valgo. E al massimo urli di gioia in metropolitana quando la tua migliore amica ti dice “Quest’anno il Royal Baby te lo faccio io” e la gente vorrebbe chiamare il TSO. 

Se invece hai un po’ le farfalle nello stomaco, ti solletica l’utero o la prostata, se pensi a una persona e non vedi l’ora di vederla e hai superato lo step dei 4 appuntamenti oltre i quali non andavi dai tempi del liceo dove contavi come appuntamento anche le lezioni di educazione fisica solo perché ti aveva passato la palla a calcetto, sicuramente ti lamenti lo stesso. E vivi di paranoie, ti alzi con le paranoie e controlli nervosamente ogni sistema operativo che ti possa mettere in relazione con quella persona pregando ogni santo appaia sul calendario di Padre Pio di tua Nonna. Non siamo mai sereni, MAI. 

Vorresti le coccole e ti servono sesso da 15 minuti nei bagni di una discoteca, vuoi uscire a cena e non rimedi nemmeno il più triste degli apericena, scrivi “Ho voglia di vederti” e ricevi un pollice insù che ti procura il dolore più atroce dell’ultimo periodo, vorresti lasciare il tuo fidanzato storico ma hai paura di entrare in un tunnel di orrendi incontri, vuoi gratificarti con il lavoro ma sei nato signore e non riesci ad alzarti prima delle 10. 

 Ci mettiamo a disposizione di schiaffi e insulti, andiamo a colpo sicuro contro pali in fronte, ci facciamo prendere da persone che non meritano nemmeno di lavarci le mutande, facciamo quelli che “No ma la prendo con leggerezza, ci vado con i piedi di piombo” per poi finire in un angolo della camera a morire per un like che ha messo a lui e non a te. La verità è che ci piace essere complicati come un rebus senza soluzione, ci fa sentire vivi ma nello stesso tempo tutta questa vitalità ci logora, ci rovina e ci appesantisce. Non è consigliata la dieta, non è consigliata l’esternazione inconsapevole dei tuoi dubbi e delle tue paranoie se non a fedeli amiche che raccolgono in un file i tuoi psicodrammi catalogati per anno e mese. È consigliata invece la condivisione di questo post previa opzione “Visibile a tutti tranne che…..”.

NON SI SA MAI. 

CON LO ZENFONE HO VISTO TUTTO "THE LADY"

$
0
0

TOP.

Il motivo per cui io stia scrivendo seduto per terra con la schiena appoggiata all’armadio e non sul letto, sulla scrivania, sul terrazzo o sulla poltrona è assai inspiegabile.
È il mio amico tra lo zingaro e il teenager che mi fa assumere pose e comportamenti alquanto strani. E forse sono anche un po’ nerd da quando bazzico la tecnologia che rimane per me una scienza del mistero, quasi dell’occulto.
Mi sono sentito dire “Da quando hai lo Zenfone te la tiri”.
Ed è proprio così.
Se prima volevo fotografare un bocciolo di rosa da mettere su Instagram chiedevo il telefono della mia amica, ora invece la faccio IO. La modifico, la osservo, metto la gradazione di colore che più si armonizza con l’insieme perché l’ordine prima di tutto.

Non ho mai avuto un telefono così dotato, all’inizio la grandezza spaventa, dici “CI STARA’ NELLA TASCA DEI MIEI SHORTS DI JEANS?” poi però tutti gli altri telefoni ti sembrano quelli con cui giocavi da bambino.
Cose da preistoria.
È un telefono che ti permette di personalizzare la qualunque, a partire dallo sfondo e dal blocco sfondo, che voi sapete quanto è importante. Per esempio quando sei in metro, ti arriva una notifica, il vicino guarda sicuro che cosa sta succedendo ed è importantissimo che lo sfondo del nostro telefono dica quello che siamo.
Hai la foto del tuo fidanzato? CESSA.
Hai la foto del gatto? GATTARA.
Hai la foto di un vaso di ortensie? INFLUENCER.


Io ho trovato uno sfondo carinissimo di una illustratrice, un po’ t-shirt da bambino, un po’ quaderno degli appunti, ne vado fiero e la risoluzione fotografica sullo Zenfone è imbattibile.
Altra cosa intelligente, lo Zenfone ti ricorda quali sono le tue app più usate e te le salva automaticamente nella prima schermata che poi organizzi tu a seconda di dove arriva più facilmente il tuo pollicione. Il sistema ZENUAI (dirlo fa fighissimo) ti permette di disegnare la prima lettera corrispondente all’app che cerchi e puff, ti appare come per incanto.
Per i frettolosi e i goffi come me addirittura lo Zenfone si sblocca con un doppio tocco di polpastrello, è una sensazione che dovete provare perché ci si sente potenti come quando si smacchiano le patacche di sugo sulla t-shirt bianca.

E per voi amanti di giochini giochetti in cui si lanciano palle colorate, o in cui dinosauri cercano la fuga dalla glaciazione terrestre, lo Zenfone è pazzesco.
Ti senti lì sul campo di battaglia e i colori e la luminosità saranno il vostro più regalo da quel Natale 1996 quando sotto l’albero avete trovato Barbie Magia delle Stelle.
A voi i giochini, a me i video su You-tube.
Sì, perché io con lo Zenfone ci ho visto tutto The Lady e sono la persona più felice della Terra. PRATICAMENTE IL TOP DEL TOP.

LA CRISI DEL SETTIMO APPUNTAMENTO

$
0
0


Sapevo che avrei scritto questo post. Me lo sentivo e quando ho delle sensazioni difficilmente mi sbaglio, difficilmente posso ricredermi e difficilmente non urlo un “VE L’AVEVO DETTO”.
Uscire con qualcuno è davvero l’apoteosi dello sbatty.
Primo perché non c’è nessun dato certo che ti aiuti a razionalizzare quanto accadrà, secondo perché se si vede tutto bianco o tutto blu (io non indosso il nero) quel mix di colori tra i due sono fastidiosi e genitori di incredibili paranoie. (Vedi post precedente).
Al primo appuntamento la butti sul “O la va o la spacca” e a dir la verità sei anche un po’ scazzato, sul finire della settimana la stanchezza si fa sentire ma la chimica nell’aria c’è e state molto bene insieme. Iniziano pochi ma inequivocabili segnali di interesse reciproco “Sali su a conoscere il mio gatto?”, “TI VA UN GELATO SUL MIO TERRAZZO?” e inviti a cena, e perché no, anche solo una passeggiata sulla Darsena, luogo dove ormai a Milano si fidanzano o si ubriacano tutti.


Il famoso piede piombato però è in agguato.
Non si va oltre quel limite che ti permette di scrivere “Ho voglia di vederti” calibrando bene addirittura il rossore della faccina di Whatsapp, quella imbarazzata che ormai dovrebbe portare il mio nome. Il piede di piombo non ti fa palesare il tuo ormai evidente interesse e addirittura c’è un lato che tieni all’oscuro.
Quello delle paranoie e quelle delle silenziosi incazzature.
“Scusa per il ritardo ma ho fatto la valigia”
“Valigia?”
“Eh sì, vado qualche giorno al mare dai miei”

AH MA FAI BENONE, CHE BELLO, CHISSA’ COME SI STA’ IN SPIAGGIA.
Il piede piombato ti fa reagire così all’esterno, internamente bestemmi in aramaico perché avevi progettato di organizzare un bel week end con un pic nic al parco, e addirittura ti era venuta voglia di cucinare, una cosa che è quasi impensabile detta da te.
Gli appuntamenti si susseguono, superi la soglia del dolore, il quarto, e piano piano prendi confidenza con l’oggetto del tuo desiderio, capisci che avete molte cose in comune, che non è solo il salto della mutanda il collante tra di voi, che potete parlare per ore senza annoiarvi e potete anche ingozzarvi di caramelle gommose al cinema perché tanto l’importante è il presente e il cagotto è sempre domani.

Fino all’arrivo del settimo che finisce ancora meglio degli altri, con un bacio e una promessa di rivedersi sotto al portone di casa. Le tue sicurezze allora si impennano, ti senti il re del mondo, prenoti un materasso più grande, ti chiedi come farete quando unirete i guardaroba perché tante cose sono simili e si mischiano, ti immagini quando si fermerà a dormire da te come sarà bello e anche comodo perché “Ha proprio il tram sotto casa per andare a lavoro”, stai quasi per parlarne a tua madre e hai già fatto cucire le vostre iniziali in corsivo inglese sugli asciugami da bidet.
Perché il settimo appuntamento è un traguardo.

Perché “Figurati se esce BEN 7 VOLTE con qualcuno con cui non vuole fidanzarsi”.
Le sicurezze ci mettono due mesi a decollare, un secondo a crollare.
Un giorno si comporta male, per la prima volta ti arrabbi e butti in volo un “Si vede che forse non te ne frega nulla” provocatore, perché è chiaro che ti dirà “Ma no che dici, dai smettila”.
E invece.
E invece ricevi la conferma delle tue sensazioni, condite da complimenti con cui puoi solo raccattare vecchie cimici da buttare nel water.
“Sei super carino, con te sto molto bene, MA non è scattata”.
CHISSA’ COME SCATTI TU INVECE DI FRONTE A QUESTO LANCIAFIAMME.
Ovviamente il tutto detto a quel famoso pic nic dove tu hai portato da mangiare, un gesto molto carino quanto sprecato.

BERMUDA + SCARPE DA BARCA, IO DICO SI'

$
0
0

Trova la giusta LOCATION.


E’ arrivata l’estate. Perché ammettiamolo, il 1 di Giugno noi sentiamo caldo anche se il barometro non dice proprio così, togliamo il piumone cercando di non occupare 4 ante del nostro armadio e tiriamo fuori gli shorts.
OH GLI SHORTS QUALE MIGLIORE INVENZIONE DELL’UOMO.
Personalmente mi sento migliore quando pedalo come un forsennato sulla bicicletta con la fretta di chi non deve fare nulla ma ormai ha la velocità milanese come impostazione della vita, con buttato addosso solo un paio di bermuda, una t-shirt sdrancicata di H&M. Conscious, ovvio.

E’ questo il momento in cui mi sento un ragazzino, un teenager che finisce la scuola e si sbraga al parco con gli amici a dire cagate e a fare un po’ Dawon’s Creek della situazione.
L’estate è bello vestirsi con i colori chiari ma solo se non sembriamo delle peruviane al matrimonio di paese, quindi ok i colori un po’ pastello ma senza esagerare. E lo dico io che riesco a non farmi prendere a sassate dalla gente quando metto bermuda color lampone, menta, fragola, pistacchio e sembro la variegata gamma dei gusti di un gelato artigianale.
Un giorno mi sono accidentalmente imbattuto in un esemplare di troppa moda, quelli che sono iscritti allo Ied, si sentono cool anche se girano in canotta e cappello di feltro, che professano apertamente la religione PRADA ma che spesso non ci mettono personalità in ciò che indossano.
Mi è stato detto “I bermuda e le Timberland da barca NO, NO E ANCORA NO”.
Ma perché?
Chi lo ha deciso?
Chi ha decretato questa legge in Parlamento?
E non è un gusto personale ma proprio un fattore di estetica praticità. Avete mai visto uno sulla barca a vela con i pantaloni lunghi?
NO.

 
PANTOFOLE LEGALI
E poi la scarpa da barca è una delle cose più comode inventate da quel troglodita dell’uomo, è una sorta di pantofola legale che puoi usare in qualsiasi situazione, senza calze ovviamente non sto nemmeno a dirlo che mi sanguinano i polpastrelli.
Io che sono cresciuto a pane, Sissi e Piccolo Lord, sono uno di quelli che richiude in un cassetto tutte le calze (non appaiate sia mai così questo autunno piangerò sulle perdite feroci) a Maggio e automaticamente l’addizione NO CALZE + TIMBERLAND DA BARCA =  ESTATE.
Lo ammetto che fa molto Capri, vivo in Bveva, ho lo Yacht parcheggiato in terza fila a Saint Tropez e che lo vedete bene su un imprenditore di cachemire e non su uno poveraccio come me, MA, ci metto la mano sul fuoco che chiunque sia definito “Gentlemen” sulla faccia di questa terra, avrà almeno un paio di mocassini da barca nel guardaroba.
Di certo non li abbina a una polo di H&M kids e a un paio di bermuda di jeans trovati per caso nell’armadio del fratello maggiore.
Come invece ho fatto io. 
TAC, PROFILO.

AH MA ERI TU AL PORTONE

$
0
0
Siccome la vita è già abbastanza faticosa, fatta di disagi, ansie, pedalate sotto la pioggia e caduta libera di capelli, il segreto per quanto mi riguarda è l’ironia sulla qualunque, spargere il lato positivo su tutte le faccende e far diventare le disavventure materiale editabile per questo blog.
Con l’ultima di una lunga serie posso dire di aver vinto un po’ l’Internet. Premettendo che non sono così disperato da dare corda a chiunque mi faccia una moina e che non sono elemosinatore di seconde chance, quando una cosa non funziona io tronco, cancello, blocco MA l’ultima parola è sempre la mia.
La storia è sempre quella.
Inizio a sentire una persona che ti sembra interessante, che parla italiano, che lavora come servitù nell’alta borghesia milanese ma io posso apparire snob e in realtà mi mescolo spesso con il comun volgo, così concedo una possibilità e ci si promette il solito “Dai vediamoci per un caffè”.
Passano i giorni e nulla, si sparisce entrambi inghiottiti dagli impegni, dalla vita, dall’indifferenza di quel numero nuovo sul telefono che non sai se userai o cancellerai a breve.
Un lunedì sera tornando dalla palestra in bicicletta, davanti al portone del palazzo vedo questo ragazzo al citofono con il cellulare in mano, era evidente che stesse aspettando gli aprissero, lì al momento non ci ho dato peso, sto per uscire dal portone che lui mi tiene gentilmente aperto e noto la schermata del cellulare accesa sulla chat “Hornet”.
Capisco subito che è l’ospite di quel ragazzo che abita nella scala b del palazzo dove vivono tutte le mie prozie e dove è ancora appeso il necrologio della prozia Maria Giuditta, stoica milanese sempre vissuta lì al secondo piano.
Dopo qualche minuto l’illuminazione, ERA LUI, era quello che lavora nella servitù e che mi aveva proposto un caffè. Gli ho scritto e butto lì un “Ma possibile che ci siamo incrociati davanti al portone?”, e quando mi risponde (caso vuole, dopo mezz’ora- il tempo per un caffè) che sì, era proprio lui, io scoppio a ridere e mi chiede “Dai, se sei a casa scendi che sono qui sotto così ci conosciamo”.
Rispondo con cortesia “No grazie” e giunge la filippica.
“Cosa credi che siamo tutti uguali? Che sono andato per una sveltina? Ho preso solo un caffè, non c’è nulla di male a conoscere qualcuno, mi stai giudicando, non farmi passare per quello che non sono” ecc ecc, che noia.
Ok, tutto vero. Ma io posso uscire con qualcuno beccato a salire a casa del mio vicino di casa? E che fa ambarabaccicciccoccò sulle chat e che soprattutto si fa sgamare con le mani nella marmellata e non urla alla figura di merda ma cerca solo di rigirarla a suo vantaggio? La risposta è no.
Non ti piace il mio vicino di casa e quindi pensi “Visto che sono qui, c’è Lorenzo”? A questo punto vuoi rimanere alla riunione di condominio? Mi dai una passata allo zerbino? Cerchi un appartamento nella mia scala?
L’amor proprio prima di tutto, come nel film Sliding Doors, potevo trovare un semaforo rosso, decidere di non mettere via la bicicletta, di non aspettare che spiovesse, ma casualmente in quella frazione di secondo ero lì. E’ il Karma, o più certamente, la protezione della prozia Giuditta che single tutta la vita mi protegge dall’alto e suggerisce “Meglio single, pieni di vestiti, piuttosto che con coglioni simili, dammi retta”.
NEEEEEEEEXT.

MALEDETTO IPOCONGIUNTIVISMO

$
0
0


C’era una volta Mister G, pseudo milanese, di quelli raffinati che hanno amicizie nel bel mondo “Sai, Jonathan Doria Pamphili è uno dei miei amici del ballo”, che partecipano alle feste che contano tutte smoking e calici di cristallo, uno di quelli che si sente arrivato al culmine dell’ascesa sociale.
Gay, ovviamente fidanzato modello da decenni con lo stesso uomo a cui dichiara e millanta un amore oltremodo impossibile da raggiungere per qualsiasi altro cristiano che non sia lui, a cui dedica sfavillanti frasi d’amore “Felicità è sentire il rumore dei tuoi passi provenire dalle scale dopo un lungo viaggio” salvo poi naufragare su Grindr.
Tutto normale, nel senso che mai mi sarebbe interessato il dettaglio della sua vita, ognuno è libero di pensarla, crederla, viverla come meglio crede e il nostro rapporto virtuale si basava sui suoi “Quando ti potrò conoscere personalmente?” e sui miei tentativi di pura vaghezza per evitare di essere abbastanza esplicito, anche se oggi mi pento di non aver urlato un sonoro NO GRAZIE.

Un bel giorno scrivo la mia solita cretinata con un enorme Blonde Alarm ben dichiarato, commenta mia madre dandomi ragione, il che è abbastanza raro, e per l’occasione sceglie un linguaggio molto semplice optando per un imperfetto al posto di un congiuntivo.
Scelta discutibile, verissimo, ma mia madre è una che legge tre libri contemporaneamente, scrive benissimo e usa la punteggiatura meglio del Ministero, sicché se lei usa l’imperfetto per un commento su Facebook e non per una dichiarazione al Consiglio dei Ministri io non faccio una piega.
Mister G invece mi scrive privatamente perché quell’IPOCONGIUNTIVISMO, così lo ha definito, proprio non gli è andato giù e lo ha infastidito non poco. Sottolineo “E’ mia madre” e lui comincia a sparare frasoni da Oscar Mondadori che per tradurlo ci voleva lo Zanichelli aggiornatissimo.


La sua era “una giovialità NN cattiva” (Uno che scrrive NN già doveva essere rimosso dai tempi in cui si usava scrivere gli status in terza persona), tira fuori addirittura “una netiquette più smart delle pezze che tiri alla gente vestita male”, definisce “wall” quella che noi comuni mortali cretini e non appartenente all’accademia della Crusca denominiamo come bacheca Facebook.
E allora io scoppio in una risata a cui si aggiunge “IL MIO ERA SOLO UN APAX”.
Un che?
Apax che poi sarebbe Hapax?
E’ una nuova crema anticellulite?
Un nuovo social?

Gli dico apertamente ciò che penso, ovvero che al posto di leggere divertito quello che aveva scritto mia madre, tra l’altro stava dando ragione a me, a lui, e a tutti i partecipanti al Gay Pride, ha preferito soffermarmi su un minimo errore di grammatica puntando il dito come un professorino fastidioso con la forfora sulla stantia giaccia di velluto a coste.
“Questo fa di te un supponente arrogante”, e lui risponde “Dai NN trascendere alla CONTUMELIA, NN è elegante”.
Contumelia chi?
La zia Contumelia?
Rosso infuocato con una sorte di travaso di bile perché da sempre combatto gli spocchiosi, gli acidi convinti e gli elevatori del proprio ego, rispondo poco elegante ma molto diretto:
“PARLARE FORBITO NON FA DI TE UNA PERSONA MIGLIORE DEGLI ALTRI, DETTO QUESTO, HAI DAVVERO ROTTO IL CAZZO, SEE YOU”.

Ogni tanto le parolacce esprimono al meglio il nostro stato d’animo, e non c’è Accademia della Crusca o Dante Alighieri che tenga.
Ho poi concluso “Passi lunghi e ben distesi”, che è il motto di mia madre, colei che mi ha insegnato il congiuntivo ma anche a definire “DEFICIENTI” i simili soggetti.

IL SEGRETO DI QUEEN ELIZABETH

$
0
0

L'unica a non apparire Cessa con il color lavanda
Mi sono sempre chiesto quale fosse il segreto della monarchia britannica, quale fosse il lato oscuro di questa famiglia che si affaccia tutta insieme dal balcone di Buckingham Palace, che fa impallare Internet e diventa subito l’immagine ideale per la copertina di tutti i social e sfondi di telefoni, computer e tablet.

Oltre alla gerarchia di successioni, oltre ai pettegolezzi che vogliono Queen Elizabeth una nazi-regina che di notte manomette freni della macchina della povera Lady D, oltre a quel sorriso ebete di Camilla, personaggio a cui non trovo un ruolo, uno scopo, un complimento, c’è la potenza di una donna che ha messo tutti ai suoi piedi.

Queen Elizabeth, donna a cui voglio bene come fosse mia Nonna e che vorrei poter anche solo abbracciare una volta nella vita per sentirne il profumo e la squisitezza, è la donna del Millennio.

Lo so che non fa nulla a parte essere Regina, che vive grazie al suo status e che non ha mai toccato con mano la fame, le difficoltà e le avversità della vita. Lo so che non si è mai trovata davanti alle istruzioni per montare una libreria Billy dell’Ikea e che non potrebbe capire quanto sia dura decidere se andare al Pam o all’Esselunga quando nel primo c’è il gelato in offerta e nel secondo le fettine di pollo ma non si ha lo sbatty di andare da entrambi, PERO’ l’ammiro.
Copertina ovunque.

E invidio un po’ gli inglesi perché quando c’è un problema, una crisi internazionale, una strage, un attentato, un mostro in agguato, loro guardano verso quel balcone e sanno che dietro le tende c’è una piccola donnina che tiene a loro, che pur non armandosi di mitra per sconfiggere i terroristi, dirà loro una parola di conforto. Noi invece chi guardiamo? Il Papa? Salvini? Barbara D’Urso?
Lei c’è e la Gran Bretagna è sua, è sempre stata lì, non ha mai abbandonato la patria, i suoi sudditi non hanno mai preso in considerazione l’idea di segregarla in una casa di riposo e di mandare in esilio la sua stirpe. La forza e la fermezza del suo nome è tutto merito di una buona campagna commerciale, sicuramente, ma anche dell’affetto che tutti gli inglesi nutrono per questa anziana ed elegante signora, perché sono cresciuti fianco a lei, vedendola passare di sfuggita in carrozza, festeggiando gli anniversari del suo regno, confrontando le sfumature del suo cappellino.
Non mi stupisce affatto che la folla si riversi in strada per ogni grande avvenimento e che aspetti di vedere anche un solo cenno di mano della Regina, perché è amata, attesa, osservata, invidiata e nutriamo in lei un grande rispetto.
Ogni tanto penso a quando non ci sarà più, alla nostalgia che un po’ proveremo nei confronti di quel sorriso composto e discreto, al funerale bellissimo che le faranno e alla regalità che porterà via con sé sperando che sia genetica e imitabile.
Quando la fotografano alle visite ufficiale, alle parate e ai garden parties sorrido perché mi immagino lei che non vede l’ora di tornarsene a “casa”, mettersi comoda in camicia di notte e farsi uno di quei pediluvi goderecci con la settimana enigmistica.

Dopotutto l’essere Regina prevede grandi responsabilità ma dietro quel titolo altissimo rimane comunque un’anziana ottuagenaria che vorrebbe godersi “Chi l’ha visto?” con i piedi sulla poltrona e la messa in piega settimanale. Lunga vita alla Regina, che ci faccia compagnia ancora per molto in modo che qualcuno possa finalmente scoprire cosa tiene nella borsetta.

E A NOI CAZZOCENE?

$
0
0
MANCANO SOLO LE MACINE DEL MULINO BIANCO.
Dieci giorni fa mi arriva l’avviso di Vanity Fair “Il tuo abbonamento sta scadendo” e io subito panico. Perché è un giornale a cui sono affezionato nonostante ultimamente non sia proprio corposo ma a me basta leggere Daria Bignardi, incredibile paroliera che mi ricorda mia madre per idee e modi di dire. Sono stato proprio io a far ricredere mia madre su di lei, leggendola prima su Vanity Fair e poi con i suoi romanzi, in particolare quello in cui raccontava della sua famiglia e di come la mamma abbia avuto un ruolo potente ma difficile nella sua vita.
Rinnovo l’abbonamento (50 sacchi) e aspetto il prossimo numero speranzoso di una copertina top, come Ilary Blasi, mia preferita di sempre, l’ennesima ciancicata Monica Bellucci o un bellissimo sosia con il tupè come Jude Law.
E invece chi mi capita: MICHELLE HUNZIKER E TOMASO TRUSSARDI.
NO.
Prima di tutto Michelle è una delle starlette più insopportabili di sempre, supera addirittura Alessia Fabiani che con ogni smorfia mostrava al mondo il suo talento naturale per il sesso orale in quanto sembrava in procinto di raggiungere un orgasmo ad ogni inquadratura.
Tutti in bianco, super sorridenti, addirittura le due figlie e il cane con il titolo “NOI LITIGHIAMO, VOI NO?”.
Ma sapete che a noi non frega una minchia sottolio di quello che fate voi? E che autocelebrarsi come mamma modello, padre affettuoso, famiglia felice e di successo è solo una cafonata al pari di Angelina e Brad che vanno in giro per il mondo a raccattare figli perché così le foto sui giornali sono belle e di impatto?
Aurora, Sole e Celeste. Luce a Nord Est, Tramonti sul Sahara, Himalaya, Neve o Crostata di Pesche, no? Non vi piacevano come nomi?
Michelle poi è la classica “Io sono una donna solare, una donna completa, vivo per le mie figlie, le mie figlie sono la luce dei miei occhi, i miei occhi risplendono dei loro sorrisi” perché dire “Ho sposato un bancomat sempre attivo ma rimango la svizzera tamarra con il tatuaggio sul braccio” non è facile da dire.
Quindi viene a farci la predicozza classica della famiglia normale, che passeggia per Milano sorridente (I paparazzi sempre appostati davanti a casa sua, SEMPRE) che si ama e si vuole bene, con la figlia 18 enne che fa uscire un capezzolo su Instagram per aggiungere un pizzico di normalità e cattivo gusto.
Noi però non dimentichiamo il suddetto tatuaggio per cui anche un Valentino Couture sembra uno straccio da povera, la lista nozze D’ARGENTO che hanno tanto desiderato per il loro attesissimo (?) matrimonio e quel sorriso falso e forzato che millantano di avere.
Subito nella categoria indetta da mia Nonna “CAFONI RIPULITI”.

MILANO VAL BENE UNA FOTO INSTAGRAM

$
0
0
Con mia grande sorpresa quando ho iniziato a lanciarmi su Snapchat ho scoperto che la mia aria da Piero Angela, giovane marmotta con l’occhio curioso, infastidiva alcuni ma entusiasma altri perché non tutti hanno davvero presente quale sia lo spirito di Milano.
Ci immaginano sempre presi da una delle 34 settimane della moda, dagli eventi di design, perennemente agli happy hour, sulla Darsena quando è in voga la Darsena, sullo skyline quando si inaugura lo skyline.
“Sì carina Milano ma oltre al Duomo e i negozi di Montenapoleone non c’è nulla” spesso senti dire da chi ha poco tempo e si basa sulle solite dicerie che fanno sembrare questa città grigia e superficiale. Pochi sanno che ci sono palazzi Liberty meravigliosi, giardini bellissimi da instagrammare.
Ecco cinque posti che a mio parere non possono mancare nel vostro cuore, e nel vostro Instagram.
 VILLA NECCHI CAMPIGLIO:
Posto top.
La prima villa privata con piscina nel centro di Milano, a due passi da Corso Venezia, costruita negli anni 30 per le signore Necchi, le eredi delle macchine da cucire. Pregiati marmi, arredi originali e uno stile razionalista che la fece diventare una delle dimore più eleganti di tutta la città. Piscina, campo da tennis, un parco con una selezionata scelta di piante e una depandance trasformata ora in una caffetteria dove fare colpo con chi vi piace. La cosa più bella è il guardaroba delle signore, in particolare un foulard firmato da Christian Dior con il nome della signora Necchi, quella sposata, l’altra rimasta “signorina” dormiva in un discretissimo letto singolo come voleva la regola per le donne non maritate. In compenso aveva un bagno privato gigantesco.



 I FENICOTTERI DI VILLA INVERNIZZI:
Instagrammabilità.
E dove se no. I mafiosi e gli arricchiti hanno in giardino pavoni e colombe bianche, a Milano invece a Villa Invernizzi hanno fatto costruire una vasca per i fenicotteri rosa, che scorazzano felici e pare non abbiano nessuna intenzione di volare fino in Africa, forse perché lì non c’è nessuno che li fotografa come invece succede qua. Tappa Instagram obbligata, soprattutto se siete nella fase armonica del rosa cipria.
 
LA ROTONDA DELLA BESANA:
Cuore.
Il mio posto preferito in assoluto, un giardino circondato da un bellissimo chiostro che anticamente era un cimitero, la chiesa all’interno è diventato in un museo per bambini dove organizzano eventi a cui vale la pena partecipare, come il mercato dei fiori che Marni ha allestito lo scorso Settembre. Ideale per allontanarsi dalla realtà, leggere un libro in santa pace e sognare di avere una bambina di nome Maria Vittoria per portarla lì a giocare e a crescere come un po’ ho fatto io.
 
VIA LINCOLN:
Casa delle bambole.
Questa è una chicca che mi ha fatto conoscere la prozia Ebe, milanese da generazioni e generazioni, proprio vicino alla casa in cui è nata e cresciuta e a pochi passi da dove abito io. Via Abramo Lincoln è una piccola vietta che vi farà dimenticare di essere a Milano. Con le sue basse villette una appiccicata all’altra, tutte colorate, le piante di oleandro e con la bellissima magnolia vi sembrerà di stare in un paesino di mare. Sono state costruite all’inizio del ‘900 ed erano le case dei ferrovieri che lavoravano in Porta Vittoria.
 
GIARDINO BELGIOIOSO:
Downton Abbey
Qui vige la regola che vieta l’ingresso a chi non ha dei bambini, è infatti un piccolo giardino all’inglese sul retro di palazzo Belgioioso che ospita la Galleria d’arte Moderna, in corso Venezia, proprio di fronte al parco di Palestro. È un angolo bellissimo, in stile con quei giardini inglesi di fine settecento con il tempietto, i ruderi antichi e il laghetto con il ponticello. Qui sì che sentirete quell’irrefrenabile voglia di avere una bellissima bambina con un nome blasonato che corre vestita a fiori mentre voi giocate alle signore di Downton Abbey.
 
Insomma il mio consiglio rimane sempre quello, girate Milano con il naso all’insù.
C’è tutto il tempo per controllare i like.

INVITATE A UN MATRIMONIO: IL VADEMECUM DA FRIGORIFERO

$
0
0

FOTO COPERTINA.
Più che un post questo sarà un piccolo, intenso, e probabilmente anche sbagliato, vademecum su cosa indossare quando si è invitati a un matrimonio. Perché abbiamo bisogno di regole, brevi, concise ma chiare nelle nostre menti. Non perché siamo figli illegittimi di Lina Sotis e dobbiamo riconoscere al volo il nome specifico della piega del tovagliolo di lino, cazzocene a noi che mangiamo in piedi nella ciotola di plastica per sporcare meno stoviglie possibili, ma per evitare di rientrare nella categoria “GUARDA QUELLI CHE CAFONI”.

Possono darci uno stipendio da fame, proporci stage retribuiti con cui nemmeno una caverna sulle Alpi Apuane, possono farci vestire low cost e dirci che non avremo mai una Bentley e un terrazzo da cui lanciare le nostre mutande autografate, ma noi cafoni non lo saremo MAI.
Quindi, donne (mi rivolgo a voi perché io con gli uomini ho chiuso dal giorno in cui mi è stato detto che “Al matrimonio ho messo le Hogan che sono scarpe eleganti”), ecco qualche suggerimento.
Se il matrimonio a cui siete state invitate è di giorno e la cerimonia è al mattino con il ricevimento fissato per il pranzo ALLORA:
-         NO NERO (Almeno le basi)
-         NO BIANCO (Almeno le basi 2)
-         NO ABITO LUNGO per cui non presentatevi alla chiesa di Cernusco sul Naviglio alle 11 del mattino con un abito a strascico in seta drappeggiata che sembra la tenda di un teatro
-        SI’ AL CAPPELLO/FASCINATOR perché scegliere come accessorio distintivo un cappello, con veletta ancora meglio, o un tocco che dia personalità al vostro look, è cosa buona e giusta. Io non so più in che lingua dirvelo che i fascinators fanno la differenza su tutto e che rendono molto elegante anche il vestito più brutto acquistato due giorni prima a caso su Zalando.

Devo aggiungere altro?

(NB: il bon ton vorrebbe che si indossasse il cappello solo se lo fa la madre della sposa, MA, se la madre della sposa ha una orribile permanente rosso fuoco e le unghie di cristalli noi dobbiamo seguirne l’esempio? NO. E allora facciamo come ci pare e tanti cari saluti).
-        NO SPARKLING perché i tocchi dorati, argentati, le pailettes, quella serie infinita di cristalli sparsi ovunque, sono l’emblema della cafonata, soprattutto se il matrimonio è di mattina.
-        SOBRIETA’ quella sconosciuta. Non presentatevi a un matrimonio con tutto il contenuto della vostra cassetta di sicurezza, con tutto quell’oro giallo che la zia Tina vi ha regalato al battesimo perché è volgare. Via le tiare, i brillocchi da esibizione e rimanete con l’indispensabile. Se poi l’indispensabile è un diamante taglio baguette di 12 carati allora Santa Elizabeth Taylor da Hampstead vi proteggerà.
 
Un tocco da 23 carati solo se siete Elizabeth Taylor
Se il matrimonio invece è fissato per il pomeriggio inoltrato, (dopo le 16) e il ricevimento è in serata, le regole cambiano leggermente.
-         NO NERO (Almeno le basi ma spesso per la sera è sdoganato ma meglio di no)
-         NO BIANCO (A maggior ragione che il ricevimento è in notturna)
-         SI’ ABITO LUNGO oh finalmente potete dar sfogo a tutti i vostri traumi infantili dovuti a povere che diventano principesse e principesse che vogliono fare le povere. VIA CON IL LUNGO, VIA CON IL BALLO DELLE DEBUTTANTI.
-         SI’ DETTAGLI GIOIELLI ma questo non vuol dire sembrare il lampadario della sala da pranzo di Valeria Marini ed essere tutta un cristallo. Meglio un tocco, un dettaglio, che sia la borsetta (PICCOLA E MAI A TRACOLLA che non state andando a Medjougorje con il gruppo vacanze) o le scarpe, o ma guarda un po’, nulla, perché come ho detto prima la sobrietà è sempre l’arma vincente in ogni occasione.
-         NO IL CAPPELLO ma sì al cerchietto con dettaglio sbrilluccicante, o una piuma, o una piccola veletta, l’importante non sia il cappello a tesa larga, bandito a gran voce per i ricevimenti che si svolgono la sera.
-         COLORI PIU’ SCURI solitamente una sfumatura più intensa rispetto alla gamma di colori che si usano per un matrimonio di mattina. Così l’azzurro di mattina, il blu la sera, lo smeraldo di giorno, il verde bottiglia la sera, e così via.
Se il matrimonio è alle 11 del mattino a Cernusco sul Naviglio il 24 Luglio, ehm NO.
 
Appositamente non parlo di scollature, calze sì o calze no, trucco e parrucco perché quello fa parte della circostanza e della situazione. Un matrimonio sul Lago di Como in una villa del Settecento costata agli sposi qualche svariato debito e il rene della madre della sposa, sarà diverso rispetto a un matrimonio in cui oh toh la famiglia di lei ha una masseria in Puglia in cui casualmente staranno benissimo i loro 400 invitati.
E poi le regole dell’etichetta cambiano con il passare degli anni e non sempre è da considerare un presagio di cattivo gusto, altrimenti care signore, al 25 di luglio alle ore 11 nella Chiesa di Sant’Egidia Immacolata di Catanzaro dovreste per forza, in nome dell’altissimo e rigidissimo bon ton, indossare calze velate, completo abbottonato fino al collo e scarpetta mezzo tacco quadrato che anche la più sottile e affusolata delle caviglie sembrerà un tronco di abete.
Ritaglia questo post, appiccicalo sul frigo, inoltralo a tutte le tue amiche che "Ho trovato un abito nero di pizzo per un matrimonio, è bellissimo" e diffondete il verbo per evitare scempi futuri.
 

UNA FAMIGLIA DI FASHION BLOGGERS: LA PROZIA NINETTA

$
0
0

27 giugno 1954
A dimostrazione che la troppa moda è un gene attivo che ci si tramanda nelle migliori famiglie di generazione in generazione, la rubrica iniziata su Snapchat “Una famiglia di Fashion Bloggers” ripercorrendo i migliori outfits dei miei parenti, defunti e non.
Un successone la puntata in cui protagonista era la splendida ed elegantissima prozia Ninetta, cugina di primo grado di mia Nonna Giulia (qui il post che le avevo dedicato), classe 1919, veneta DOC, DOP, AD HOC, che il 27 giugno 1954 va in sposa al fratello gemello di Nonno Luciano, il prozio Ulrico.
SE MAGNA.
 
35 enne, zitella, finalmente corona il sogno di un matrimonio molto sofisticato e lei, magrissima in un abito di tulle vaporoso e scarpette in raso, sorride felicissima.
Inizia un po’ la vita mondana nella Roma anni ’50- ’60, chiusa in abiti e completi che subito rimandano alle maniche a tre quarti e alla linea di Jackie Kennedy, musa indiscussa per le donne sofisticate dell’epoca.
La prozia Ninetta si fa cucire abiti sartoriali con le stoffe dell’azienda di famiglia, Bises, scegliendo con cura colori, modelli e fantasie, perché ancora rimane quel gusto antico nel preferire indossare qualcosa che venga confezionato sulle proprie forme, per esaltarne i pregi e nasconderne i difetti.
Occhialata potente allo Stadio dei Marmi

"Prendimi anche le scarpe"

CE L'ABBIAMO?
 
Guardando le fotografie sorrido perché sono pose tipicamente adatte alla migliore delle Fashion Bloggers, si nota infatti l’intero look senza tagliare il cappellino o la scarpa, anche la borsa è ben visibile e portata con quello charme di chi è naturale ma attenta al risultato della foto.
Mi immagino la zia Ninetta dire “Ce l’abbiamo?” dopo qualche scatto, peccato che all’epoca non ci fosse la possibilità di farne 1000 per postarne una.
Stoccolma 1965

Con la Nonna, incappellate.
 
In tour nelle città europee non è vestita come una qualsiasi turista in visita ai monumenti, niente ciabatte alla tedesca o borselli a tracolla, al contrario sembra uscita da una rivista femminile degli anni ’50 in cui si insegnavano alle signorine dell’alta società come comportarsi nelle varie occasioni.
A Stoccolma con un completino color cipria e in Grecia con la borsa di vimini, il sandaletto tipico e il foulard in testa, un po’ Maria Callas, un po’ Grace Kelly sulla decappottabile a Montecarlo.
Simpatica, dolcissima con nipoti e pronipoti, ho un bellissimo ricordo di quando andavamo a casa sua e si faceva annunciare da Angela, la sua fedele domestica, “La signora sta arrivando” e una volta accomodati in salotto, a piccoli passi arrivava sorridente.
La Prozia Ninetta, portatrice di una sofisticata e non pretenziosa eleganza, sarebbe stata una perfetta Fashion Blogger, con il prozio Ulrico nei panni del fotografo.
“Dai Ulrico, facciamone altre che non sono convinta, prendimi dal profilo buono mi raccomando altrimenti le haters trovano mille difetti e mi innervosisco”.
HI GUYS THIS IS MY AMAZING OUTFIT (cit. Ninetta )
Grecia.
 
PERLE.

 
Viewing all 188 articles
Browse latest View live