C’era una volta Mister G, pseudo milanese, di quelli raffinati che hanno amicizie nel bel mondo “Sai, Jonathan Doria Pamphili è uno dei miei amici del ballo”, che partecipano alle feste che contano tutte smoking e calici di cristallo, uno di quelli che si sente arrivato al culmine dell’ascesa sociale.
Gay, ovviamente fidanzato modello da decenni con lo stesso uomo a cui dichiara e millanta un amore oltremodo impossibile da raggiungere per qualsiasi altro cristiano che non sia lui, a cui dedica sfavillanti frasi d’amore “Felicità è sentire il rumore dei tuoi passi provenire dalle scale dopo un lungo viaggio” salvo poi naufragare su Grindr.
Tutto normale, nel senso che mai mi sarebbe interessato il dettaglio della sua vita, ognuno è libero di pensarla, crederla, viverla come meglio crede e il nostro rapporto virtuale si basava sui suoi “Quando ti potrò conoscere personalmente?” e sui miei tentativi di pura vaghezza per evitare di essere abbastanza esplicito, anche se oggi mi pento di non aver urlato un sonoro NO GRAZIE.
Un bel giorno scrivo la mia solita cretinata con un enorme Blonde Alarm ben dichiarato, commenta mia madre dandomi ragione, il che è abbastanza raro, e per l’occasione sceglie un linguaggio molto semplice optando per un imperfetto al posto di un congiuntivo.
Scelta discutibile, verissimo, ma mia madre è una che legge tre libri contemporaneamente, scrive benissimo e usa la punteggiatura meglio del Ministero, sicché se lei usa l’imperfetto per un commento su Facebook e non per una dichiarazione al Consiglio dei Ministri io non faccio una piega.
Mister G invece mi scrive privatamente perché quell’IPOCONGIUNTIVISMO, così lo ha definito, proprio non gli è andato giù e lo ha infastidito non poco. Sottolineo “E’ mia madre” e lui comincia a sparare frasoni da Oscar Mondadori che per tradurlo ci voleva lo Zanichelli aggiornatissimo.
La sua era “una giovialità NN cattiva” (Uno che scrrive NN già doveva essere rimosso dai tempi in cui si usava scrivere gli status in terza persona), tira fuori addirittura “una netiquette più smart delle pezze che tiri alla gente vestita male”, definisce “wall” quella che noi comuni mortali cretini e non appartenente all’accademia della Crusca denominiamo come bacheca Facebook.
E allora io scoppio in una risata a cui si aggiunge “IL MIO ERA SOLO UN APAX”.
Un che?
Apax che poi sarebbe Hapax?
E’ una nuova crema anticellulite?
Un nuovo social?
Gli dico apertamente ciò che penso, ovvero che al posto di leggere divertito quello che aveva scritto mia madre, tra l’altro stava dando ragione a me, a lui, e a tutti i partecipanti al Gay Pride, ha preferito soffermarmi su un minimo errore di grammatica puntando il dito come un professorino fastidioso con la forfora sulla stantia giaccia di velluto a coste.
“Questo fa di te un supponente arrogante”, e lui risponde “Dai NN trascendere alla CONTUMELIA, NN è elegante”.
Contumelia chi?
La zia Contumelia?
Rosso infuocato con una sorte di travaso di bile perché da sempre combatto gli spocchiosi, gli acidi convinti e gli elevatori del proprio ego, rispondo poco elegante ma molto diretto:
“PARLARE FORBITO NON FA DI TE UNA PERSONA MIGLIORE DEGLI ALTRI, DETTO QUESTO, HAI DAVVERO ROTTO IL CAZZO, SEE YOU”.
Ogni tanto le parolacce esprimono al meglio il nostro stato d’animo, e non c’è Accademia della Crusca o Dante Alighieri che tenga.
Ho poi concluso “Passi lunghi e ben distesi”, che è il motto di mia madre, colei che mi ha insegnato il congiuntivo ma anche a definire “DEFICIENTI” i simili soggetti.